Il silenzio che divide: da Torino, il minuto solo per Gaza

di Paolo Crucianelli - 12 Settembre 2025 alle 07:32

Il primo giorno di scuola a Torino, il 10 settembre 2025, è iniziato in molti istituti con un minuto di silenzio “per Gaza”. L’iniziativa non è nata da un atto formale dell’amministrazione ma dalla rete informale “Scuola per la pace – Torino e Piemonte”, poi rilanciata a livello nazionale da Docenti per Gaza e dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole.

Da Torino l’idea si è rapidamente propagata ad altri territori (segnalazioni da Venezia, Trento, Pordenone, Pisa, Piacenza). Tra le scuole torinesi citate dalle cronache figurano i licei Gioberti, d’Azeglio, Alfieri, Galileo Ferraris, il Convitto Umberto I e gli IC Gino Strada e Matteotti-Pellico; in alcuni istituti il minuto è stato osservato all’ingresso, in altri a metà mattina, talvolta con la partecipazione dei genitori.

Numeri ufficiali e completi delle adesioni non esistono (per la natura dal basso dell’appello), ma la stampa locale ha descritto un’adesione “molto ampia” nel capoluogo e in Piemonte.

Su questo sfondo sono arrivate due prese di posizione che vanno messe al centro. La prima è stata quella del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che ha preso posizione contro l’iniziativa torinese. Valditara ha infatti chiarito che un minuto di silenzio sarebbe stato positivo soltanto se dedicato a tutte le vittime dei conflitti, in particolare bambini e giovani, e non esclusivamente a Gaza. «La pace è un valore fondante della nostra civiltà», ha ricordato, sottolineando così che la scuola deve educare all’universalità del dolore e non alla sua selezione.

La seconda è quella dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), che ha giudicato “pericolose” le iniziative “solo per Gaza”, invitando a ricordare tutte le vittime – «bambini israeliani, ucraini e non solo» – e rivolgendosi, tra gli altri, proprio al ministro. Il punto dell’UCEI è il medesimo di Valditara: evitare selezioni identitarie del dolore perché dentro la scuola producono divisione, non educazione, che è esattamente l’obiettivo opposto che ci si aspetta dalla Scuola. L’UCEI sostiene inoltre che “la scuola deve essere responsabile, inclusiva e pluralista”.

Sul fronte politico locale, il presidente piemontese Alberto Cirio ha definito l’impegno “doveroso”, sottolineando il parallelismo tra ragazzi che a Kiev studiano in metropolitana per scampare alle bombe e i bambini che a Gaza muoiono sotto i bombardamenti. È una lettura empatica, ma ancora circoscritta a una sola parte, che rende evidente il bivio: memoria selettiva o memoria inclusiva?

Qui sta l’ipocrisia dell’impostazione “torinese”: il gesto è presentato come umanitario, ma in verità separa i giovani che non hanno avuto il loro primo giorno di scuola in base al teatro di guerra o all’appartenenza, invece di accomunarli nella stessa condizione di privazione. È una contraddizione sostanziale oltre che esecrabile: se l’obiettivo è educare alla pace, allora la scuola deve rifiutare categoricamente gerarchie del dolore. Ricordare i bambini palestinesi insieme ai bambini israeliani, agli ucraini o ai congolesi di oggi non indebolisce nessuna causa: restituisce senso alla scuola. Per questo, nella cornice di un’autonomia scolastica che nessuno mette in discussione, la soluzione proposta da Valditara e il richiamo dell’UCEI sono i più coerenti con la missione educativa: un minuto di silenzio per tutte le vittime, senza bandiere, senza eccezioni, senza aggettivi.

In definitiva, se lo scopo è aprire l’anno scolastico ricordando chi a scuola non può esserci, allora il criterio non può essere il passaporto o la religione: i giovani assenti sono tutti uguali nel loro diritto negato. Un minuto di silenzio davvero educativo non “sceglie” i suoi morti; li abbraccia tutti, e chiede ai vivi – studenti e docenti – di tenere insieme empatia e responsabilità civile.

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