Israele e la legittimità dell’assedio di Gaza City
di Paolo Crucianelli - 25 Settembre 2025 alle 17:52
Mentre Israele combatte la battaglia decisiva a Gaza City, la propaganda pro-palestinese si scatena. “Paradossalmente”, sembra farsi più forte tanto più la fine della guerra, con la sconfitta definitiva di Hamas, si avvicina. Il paradosso è solo apparente: è proprio Hamas, e chi lo sostiene, ad alimentare e dirigere questa macchina propagandistica. La regia mediatica è garantita da Al-Jazeera, che sapientemente orienta la stampa mainstream di mezzo mondo e, di riflesso, i movimenti culturali e di piazza, nelle mille forme che ormai conosciamo: dalle manifestazioni universitarie alle flotille di pasionarios.
Le piazze, i social e purtroppo anche certi leader politici usano parole come genocidio, mattanza, massacro. Parole forti, emotive, pensate per colpire la pancia dell’opinione pubblica. Ma assolutamente prive di coerenza giuridica. Basta pensare alle cifre diffuse dal cosiddetto “Ministero della Salute di Gaza”: numeri aggiornati all’unità, in un contesto di guerra urbana dove è materialmente impossibile avere dati certi. È la prova stessa dell’incongruenza: nessuna seria organizzazione può certificare conteggi così precisi in tempo reale, se non piegando i dati a fini propagandistici.
Sul piano del diritto internazionale, l’accusa più frequente è che l’assedio di Gaza City sia illegale. È falso. Le leggi di guerra permettono l’accerchiamento e l’isolamento di forze combattenti, purché siano prese precauzioni per proteggere i civili. Israele, infatti, ha aperto corridoi di evacuazione, ha diffuso avvisi tramite volantini e telefonate, ha concesso pause umanitarie. Tutto questo dall’inizio della guerra. Nel frattempo, Hamas commette i veri crimini di guerra contro il suo stesso popolo: scava tunnel sotto scuole e ospedali — spesso con sale di comando a fianco delle sale operatorie — usa civili come scudi umani, minaccia chi tenta di fuggire, spara a chi fa la fila per ricevere aiuti. L’obiettivo è sempre lo stesso: costringere la popolazione a restare in zona di combattimento per trasformarla in “martiri involontari”.
Perfino la Corte Penale Internazionale (che nessuno può accusare di essere filo-israeliana) ha chiarito che non si può parlare di genocidio. Eppure, ministri, diplomatici e giornalisti continuano a ripetere quell’accusa come un mantra, come se fosse una verità scolpita nella pietra. È un cortocircuito che confonde, distorce e avvelena il dibattito pubblico.
La verità è che l’assedio di Gaza City non solo è legittimo, ma necessario e, paradossalmente, il modo meno sanguinoso per arrivare alla sconfitta definitiva di Hamas. Non è un genocidio, ma l’applicazione delle stesse logiche militari già adottate in altri scenari: Falluja nel 2004, Mosul nel 2016-2017, Marawi nelle Filippine nel 2017. In tutti questi casi, la comunità internazionale non contestò la legalità dell’assedio: le città furono isolate, ai civili venne chiesto di evacuare, furono predisposti corridoi di uscita e solo dopo le forze regolari entrarono in battaglia. Era l’unico modo per sradicare milizie terroristiche asserragliate tra la popolazione. Perché a Gaza dovrebbe valere un criterio diverso? Israele sta applicando lo stesso modello, con strumenti di comunicazione e avvisi ai civili ancora più capillari. La differenza non è giuridica, ma narrativa: là si parlava di lotta al terrorismo internazionale, qui la propaganda ha ribaltato i ruoli, trasformando il carnefice in vittima e la vittima in carnefice.