Israele ed Egitto: pace tiepida o guerra fredda? Gerusalemme ha una potente leva energetica: è tempo di usarla contro l’ambiguità del Cairo
di Paolo Crucianelli - 2 Ottobre 2025 alle 13:33
Formalmente, tra Israele ed Egitto regna la pace. Ma dietro la facciata dell’accordo firmato a Camp David nel 1979, si cela una realtà inquietante: il Cairo si comporta sempre più da avversario strategico anziché da alleato regionale. L’allarme è stato lanciato da Ariel Kahana, editorialista israeliano molto noto, vicino agli ambienti governativi e militari, esperto di geopolitica mediorientale. Kahana denuncia la postura ambigua dell’Egitto, evidenziando come le sue forze armate, una delle più potenti del Medio Oriente, continuino ad addestrarsi e a dislocarsi nel Sinai in modi che violano apertamente i limiti imposti dagli accordi di pace. Spesso, con la scusa di “operazioni contro tribù ribelli”, il Cairo maschera spostamenti militari che preoccupano non solo Israele ma anche gli osservatori occidentali.
Kahana cita parole esplicite dell’ex capo di Stato Maggiore dell’IDF Herzi Halevi, secondo cui l’Egitto possiede “un esercito numeroso, dotato di armamenti avanzati, aerei, sottomarini, carri armati e fanteria”, e che se oggi non è percepito come una minaccia attiva, “questo può cambiare in un attimo”.
Ma la dimensione militare è solo una parte del problema. I sentimenti anti-israeliani sono profondamente radicati nei media egiziani, nei social network e persino tra le élite intellettuali e religiose. Nonostante siano formalmente messi al bando, i Fratelli Musulmani continuano a influenzare l’opinione pubblica e a esercitare pressioni sul governo, contribuendo a mantenere un atteggiamento de facto ostile verso Israele e, più in generale, verso l’Occidente.
In questo contesto, i rapporti tra i due Paesi assomigliano sempre più ad una guerra fredda, fatta di sospetti, sabotaggi diplomatici e ostilità ideologica. Ed è qui che entra in gioco, secondo Kahana, la vera leva strategica di Israele: l’energia.
L’Egitto dipende in modo critico dal gas israeliano, che gli consente di evitare il collasso della rete elettrica nazionale e alimenta le sue esportazioni verso l’Europa (l’Egitto compra gas da Israele e lo rivende in Europa). Il recente mega-accordo da 35 miliardi di dollari, che prevede la fornitura di 130 miliardi di metri cubi di gas dal giacimento Leviathan (situato nel Mediterraneo orientale, a circa 130 km da Haifa) nei prossimi 14 anni, rafforza ulteriormente questa dipendenza. E chi detiene il potere di autorizzare questa fornitura è il ministro israeliano dell’Energia Eli Cohen, già ministro degli Esteri, che conosce bene le implicazioni geopolitiche della partita.
La proposta di Kahana è semplice quanto audace: usare questa leva per ottenere concessioni concrete da parte del Cairo. Prima fra tutte, l’apertura di un corridoio di uscita per la popolazione di Gaza; ma anche un atteggiamento più costruttivo in sede internazionale, e un passo reale verso la normalizzazione. L’Egitto, del resto, avrebbe tutto da guadagnare da una vera distensione. L’integrazione negli Accordi di Abramo, la possibilità di beneficiare della futura “Via del Cotone” promossa da Donald Trump nell’ambito del suo piano mediorientale, e una ritrovata centralità nei rapporti con Washington. Tutto ciò, però, passa da un cambiamento di rotta netto. Israele non può più tollerare atteggiamenti ambigui da parte di chi si presenta come partner ma agisce come rivale.
In conclusione, le parole di Ariel Kahana suonano come un richiamo alla lucidità politica: la diplomazia richiede realismo e, quando serve, anche l’uso intelligente della pressione economica. Israele ha gli strumenti per far valere i propri interessi: è ora che smetta di lasciarsi sfruttare e cominci a usare le leve di cui dispone, non solo quelle militari.