Facciamo chiarezza sul blocco navale
di Paolo Crucianelli - 3 Ottobre 2025 alle 12:57
Sul cosiddetto “blocco navale di Gaza” la confusione regna sovrana. Nei talk show televisivi si ascoltano affermazioni fantasiose: chi non sa parla a vanvera, e chi sa — perché studioso o analista geopolitico — spesso tace, magari perché ideologicamente schierato contro Israele. Proviamo dunque a fare chiarezza, con i fatti e con il diritto internazionale alla mano.
Che cos’è un blocco navale?
Un blocco navale è una misura di guerra marittima riconosciuta dal diritto internazionale. Si tratta dell’interdizione, da parte di una potenza belligerante, dell’accesso a porti o coste nemiche.
Non è un’invenzione israeliana, ma uno strumento antico quanto le guerre per mare, codificato oggi nel Manuale di San Remo del 1994, nei principi consuetudinari del diritto bellico e, per quanto riguarda la legittimità politica, soggetto al vaglio delle Nazioni Unite.
Quando è legale?
Un blocco navale è considerato legittimo se rispetta alcune condizioni precise:
– deve essere dichiarato e notificato ufficialmente agli altri Stati;
– deve essere effettivo, cioè concretamente applicato da navi da guerra e non solo proclamato;
– deve essere non discriminatorio, valido per tutte le navi dirette alla costa bloccata, senza favoritismi;
– deve avere come scopo principale quello di impedire il contrabbando di armi, miliziani e materiale bellico.
Se queste condizioni sono rispettate, il blocco è conforme al diritto internazionale fino a quando un organismo competente (ONU, Corte Internazionale di Giustizia) non lo dichiara illegittimo.
Il caso Gaza
Il blocco navale di Gaza è stato dichiarato da Israele nel 2007, dopo che Hamas ha preso il controllo della Striscia. È stato notificato e viene attuato con continuità dalla Marina israeliana. Nel 2011, dopo l’incidente della Mavi Marmara, una Commissione d’inchiesta dell’ONU (Rapporto Palmer) ha confermato che il blocco è legittimo come misura di sicurezza volta a impedire l’ingresso di armi a Hamas. Dunque, ad oggi, non esiste nessuna decisione internazionale vincolante che lo dichiari illegale.
Dove si applica?
Altro punto spesso frainteso: non esistono “12 miglia” o “200 miglia” prefissate per il blocco. Un blocco navale, se dichiarato, può essere fatto rispettare anche in alto mare, ben oltre le acque territoriali, purché le navi siano dirette al porto o alla costa sottoposta a interdizione. In pratica, la Marina israeliana intercetta le navi dirette a Gaza già decine o centinaia di miglia al largo, notificando loro di cambiare rotta o sottoponendole a ispezione. Questo non è un abuso, ma esattamente ciò che prevede il diritto bellico marittimo.
Perché, allora, tanta confusione?
La ragione è duplice. Da un lato, la scarsa conoscenza tecnica del diritto internazionale del mare porta molti commentatori a parlare a sproposito, confondendo blocco navale, acque territoriali ed embargo commerciale. Dall’altro, c’è un atteggiamento ideologico: alcuni esperti che conoscono perfettamente la materia, come certi esperti di geopolitica, spesso ospiti di La7, oppure certi ex sindaci ed ex magistrati, preferiscono tacere o insinuare dubbi, perché ostili a Israele. Così, l’opinione pubblica viene disinformata. La propaganda in tal senso è talmente pervasiva che anche chi, nei dibattiti, si trova (quasi sempre in minoranza) a difendere Israele, si trova spiazzato e non gli viene dato modo e tempo di chiarire la complessità della questione.
Quindi, diciamolo a gran voce e una volta per tutte: il blocco navale di Gaza non è una misura “fuori legge”, ma uno strumento previsto dal diritto internazionale, applicato da Israele per impedire il rifornimento di un gruppo armato ostile. Può piacere o meno, può essere considerato giusto o ingiusto, ma questo è il dato giuridico: chi dice il contrario, per ignoranza o malafede, non fa chiarezza, ma confonde.