Raid su Gaza e moine a Trump. Così Bibi si aggrappa al potere
È noto come Netanyahu prediligga l’inglese all’ebraico come lingua di lavoro: fa parte della sua biografia nel periodo dell’infanzia, in quello della sua formazione accademica, nonché dell’ascesa come rappresentante israeliano all’Onu e come leader politico. Ma se dopo l’approvazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza su Ga2a a metà novembre Bibì ha diffuso un comunicato di apprezzamento solamente in inglese non è certo per via della sua maggiore dimestichezza con la lingua adottiva, Piuttosto la scelta di evitare l’ebraico è emblematica della sfida politica che lo attende da ima parte rimanere nelle grazie di Donald Trump, assecondando i suoi piani per Ga2a e le comuni ambizioni per l’espansione degli Accordi di Abramo. Dall’altra, non perdere pezzi di elettorato in Israele , dando l’impressione di essere diventato morbido nella sua opposizione all’idea di uno stato palestinese per compiacere la Casa Bianca e i suoi alleati arabi. Le elezioni israeliane sono previste per ottobre, ma gli analisti non escludono il voto anticipato: Il governo cadrà se non riuscirà ad approvare la legge di bilancio entro la fine di marzo, e anche l’antica questione dell’arruolamento degli ultraortodossi rischia di spaccare la maggioranza. Per la prima volta da molti anni, il voto si giocherà anche, e forse soprattutto, sulla questione palestinese. Non a caso la disamina delle responsabilità del 7 ottobre, che ha pesanti ricadute politiche, sta provocando scintille fra i guardaspalle di Netanyahu e i vertici delle forze armate. Il ruolo di Trump gode di una popolarità immensa in Israele. Non solo perché si è rivelato deus ex òàñÛïà nel rendere possibile il ritorno degli ostaggi e l’archiviazione seppur parziale e imperfetta della guerra di Ga2a. Ma anche perché durante il suo primo mandato (2016-2020) autorizzò una serie di concessioni storiche, dallo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme al riconoscimento della sovranità israeliana sul Golan. Per Bibi poter vantare un rapporto privilegiato con il presidente Usa è fondamentale in vista della campagna elettorale, nella quale deve compensare il contraccolpo del 7 ottobre. Un recente sondaggio di Channel 12, la principale emittente televisiva israeliana, ha concluso che oggi l’opposizione otterrebbe 68 seggi, contro i 52 della coalizione di Netanyahu. Ma Bibi potrebbe essere comunque il candidato primo ministro con più chance di formare jl governo, ottenendo il sostegno di 61 deputati su 120: il Likud rimane il partito più grande, con 27 seggi, seguito da quello dell’ex primo ministro Naftali Bennett con 22. E i partiti di opposizione non sarebbero in grado di formare una maggioranza senza includere i partiti arabi, che detengono 10 seggi alla Knesset, cosa che lo stesso Bennett ha più volte escluso di fare Per Bibì vincere vuoi dire anche poter affrontare i guai giudiziari da una posizione di forza, e sfuggire a un epilogo avvilente per la sua parabola politica trentennale: finire in galera- II ruolo di Trump anche in questo è centrale, S=?-s= ISEas à é ‘ SSsg SS g come dimostrano le sue ripetute richieste al presidente Isaac Herzog di varare un’amnistia a suo favore, alle quali Herzog ha risposto esponendo, timidamente, gli eventuali meccanismi procedurali. L’editorialista di Haaretz Yossi verter ha commentato che Herzog «ha assunto un atteggiamento da ebreo della diaspora», un modo di tacciarlo, usando un linguaggio tipico della peggiore arroganza israeliana, di debolezza e viglìaccheria- n silenzio di Bib j II voto Onu a favore della creazione di una Forza intemazionale di stabilizzazione (Isf) a Ga2a è stato una nuova occasione per Netanyahu di compiacere il sodale americano: per Bibi, il suo opera
to è stato «da applausi » e la sua squadra si è dimostrata «instancabile e devota». Ma Netanyahu ha invece passato sotto silenzio il passaggio della risoluzione che auspica «un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la sovranità dello Stato palestinese», un fatto rilevato sia dagli alleati di destra che dalle opposizioni. Per rimanere nelle grazie di Trump, Bibi sta ingoiando diversi rospi che pesano nei suoi rapporti con gli alleati di destra e messianici. Dapprima ha accettato controvoglia la tregua entrata in vigore in ottobre, dopo la quale il ritmo dei massacri di Gaza si è notevolmente abbassato. Anche se i circa 350 palestinesi uccisi e i quasi mille feriti a Gaza dall’entrata in vigore del cessate il fuoco sono un numero enorme, sono meno rispetto al centinaio di vittime al giorno che l’Idf mieteva nella fase precedente l’intervento usa . Bibi ha anche dovuto accettare di offrire scuse plateali al Qatar per aver autorizzato un raid contro Hamas a Doha, e di coinvolgerlo insieme alla Turchia, un altro stato che ha rapporti con Hamas, nelle discussioni sul futuro di Gaza. Si è dovuto altresì tappare la bocca a fronte della decisione di Trump di procedere con la vendita dei jet militari F-35 al principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman, che violerebbero il vantaggio qualitativo che Washington tradizionalmente garantisce a Israele nella regione, senza neppure far avanzare il processo di normalizzazione. Escalation su più fronti. In questo contesto di difficili equilibrismi politici il governo di Bibi, per serrare le file , sta nuovamente aumentando la pressione militare sui principali fronti della guerra del 7 ottobre. Non solo a Gaza, ma anche in Libano, dove IDF ha fatto 13 morti nel campo profughi palestinese di Ain al-Hilweh ed è tornato ad alzare il tiro contro Hezbollah, la milizia sciita accusata di riorganizzarsi in seguito alla batosta subita nell’autunno 2024, uccidendo l’esponente di spicco Ali al-Tabtabai a sud di Beirut. Quanto alla West Bank , secondo l’agenzia Ocha, in ottobre si sono verificati oltre 260 casi di aggressioni sui palestinesi da parte dei coloni , il numero più alto in assoluto da quando il conteggio viene effettuato. Parallelamente, sono scese del 73 per cento le indagini aperte dalla polizia israeliana, guidata dall’estremista Ben Gvir, per questo tipo di crimini: erano state 245 nel 2023, ma sono scese a 150 nel 2024 e a sole 60 quest’anno. In sostanza, ci sono sempre più casi e sempre meno sforzi per . Dopo lunghi silenzi, Bibi e l’ambasciatore americano Mike Huckabee hanno condannato il fenomeno, ma sminuendone con gli stessi argomenti la reale importanza. «Anche gli israeliani possono compiere atti terroristici», ha affermato Huckabee. «Ma la maggior parte di queste persone non sono veri e propri coloni che vivono lì. Si tratta di un numero molto esìguo, per lo più giovani arrabbiati e scontenti che non vivono nemmeno in Giudea e Samaría». L’Idf, insomma, difficilmente riceverà ordini di fare del problema una sua priorità. Piuttosto, mercoledì all’alba, ha lanciato una nuova “operazione anti terrorismo” nella zona di Tubas, nella west Bank settentrionale, minacciando i residenti di ridurla come i vicini campi prorughi di Tulkareme.