Il virus che ha infettato l’Occidente dal 7 ottobre

di Michele Magno - 8 Ottobre 2025 alle 13:28

Nel piccolo lembo di terra che corre tra il Libano e l’Egitto, tra la Galilea e il Sinai, il pogrom del 7 ottobre 2023 ha abbattuto un pilastro dell’identità occidentale, forgiato nell’inferno di Auschwitz-Birkenau. Orrore estremo del Novecento, sulla memoria della Shoah, l’Occidente ha cercato di ridefinire la propria civiltà per assicurarsi che non sarebbe accaduto mai più. È una delle questioni riaperte dal maledetto sabato di due anni fa.

Nel conflitto di oggi si evocano nazismo e genocidio, si fa professione di negazionismo e antisemitismo, armi retoriche brandite dai nemici di Israele e della democrazia liberale. È il dramma dell’ideologia, virus devastante che pretende di rileggere una storia secolare e complessa esclusivamente con le lenti del colonialismo, dello sfruttamento e dell’oppressione del Sud del mondo. Ecco allora che il nord, in un delirio di espiazione, già due giorni dopo la mattanza nei kibbutz e al Festival musicale Nova, si schierava dalla parte dei tagliagole delle brigate al-Qassam.

Come ha osservato lo storico Raffaele Romanelli in un saggio fresco di stampa, può darsi che nel nuovo quadro globale l’antisionismo che si è risvegliato con il volto truce dell’antigiudaismo sia l’espressione di una malattia interiore dell’Occidente, del declino dei suoi valori e delle sue istituzioni (“Post-Occidente”, Laterza). Una malattia di lunga data e dalle radici profonde, come induce a pensare l’affermazione – insieme lucida e amara – di una donna che ha personalmente vissuto l’inferno: “Nel giro di cinquant’anni – ha detto Liliana Segre – la Shoah sarà una riga in un libro di storia e poi non ci sarà neppure quella”.

Anche in questo caso, il confronto con il passato ci aiuta a capire quanto l’assetto internazionale deciso a Yalta fosse fragile. Da allora, l’età dei negoziati e delle soluzioni diplomatiche ha ceduto progressivamente alla prospettiva drammatica degli scontri sul campo di battaglia.

È difficile, in questo inizio di autunno, fare previsioni sull’esito delle guerre in corso. Sicuramente di quella che si svolge nel teatro ucraino, dove la Russia di Putin sta realizzando – questa sì – una pulizia etnica nel Donbas e pianificando – questo sì – un genocidio della popolazione di Kyiv. In queste ore, più promettente sembra la sorte del conflitto israelopalestinese. Certo, i colloqui di Sharm el-Sheikh non saranno una passeggiata. Ma, ove segnassero una resa effettiva di Hamas, nulla sarà come prima, a Gaza e in Medio Oriente.

Il grande archivio di Israele

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