Netanyahu chiede la grazia. Attivisti italiani aggrediti dai coloni in Cisgciordania

L’articolo mantiene un’impostazione orientata sul conflitto politico interno, senza contestualizzare la pressione internazionale e la minaccia di Hamas che incorniciano la situazione. Manca un accenno alle ragioni strategiche che incidono sulle scelte di Netanyahu. Nel complesso, informativo ma parziale.

Niente più accuse, processi, interrogatori: Benjamin Netanyahu vuole il perdono. «Chiedo di prendere in considerazione la concessione della grazia allo scopo di lasciarmi continuare a operare interamente per il bene dello Stato di Israele, senza che il processo giudiziario in corso continui a dividere il popolo e a influenzare decisioni governative», ha scritto il premier israeliano in una lettera indirizzata al presidente Isaac Herzog, invocando la «riconciliazione nazionale» impedita – a suo dire – dai processi in cui è coinvolto, che «ci lacerano dall’interno, alimentano divisioni e approfondiscono le fratture». Sostiene anche, Netanyahu, che l’obbligo di comparire in tribunale tre volte a settimana gli renda difficile guidare il Paese. Rivendica la sua innocenza, dunque, non ammette colpe né chiede scusa: «Nonostante il mio interesse personale a portare avanti il processo e a dimostrare la mia innocenza fino alla piena assoluzione, credo che l’interesse pubblico imponga diversamente». Netanyahu, 76 anni, è il premier più longevo della storia di Israele e anche l’unico a essere processato, sotto accusa in tre procedimenti diversi perché avrebbe accettato beni di lusso per oltre 260mila dollari da ricchi finanziatori, tra cui sigari, gioielli e champagne, in cambio di favori politici; e avrebbe tentato di ingraziarsi il favore di due media. Ha sempre definito le accuse una caccia alle streghe motivata da ragioni politiche, una cospirazione dello “stato profondo” per eliminarlo dalla scena politica. Il tentativo del suo governo, prima del 7 ottobre, di far passare una radicale riforma della giustizia che secondi i critici annullava l’indipendenza della Corte suprema, spaccò il Paese e aprì una profonda crisi istituzionale. L’ufficio del presidente ha fatto sapere che esaminerà la richiesta di grazia «consapevole che comporta implicazioni significative». Herzog può concederla solo dopo una eventuale condanna, ma in casi di interesse nazionale anche durante il processo. Poche settimane fa, del caso aveva parlato anche il presidente americano Trump, con una lettera al presidente in cui invocava la grazia per l’amico Netanyahu. L’opposizione reagisce con toni differenti. Il leader Yair Lapid chiede al presidente di non graziare il premier «senza un’ammissione di colpa, un’espressione di rimorso e un ritiro immediato dalla vita politica». L’ex primo ministro Naftali Bennett, da molti considerato il principale avversario di Netanyahu alle prossime elezioni, alle quali il premier ha già annunciato che si ricandiderà, appoggia la grazia ma solo a condizione che Bibi si ritiri dalla vita politica. Per Yair Golan, che guida i Democratici, «solo N chi è colpevole chiede di essere graziato», mentre l’ong Movimento per un Governo di Qualità pone un tema più generale: graziare Netanyahu nel bel mezzo del procedimento legale sarebbe «un colpo mortale allo stato di diritto e al principio di uguaglianza davanti alla legge». Nel 2008, quando era a capo dell’opposizione, Netanyahu chiese all’allora primo ministro Olmert, coinvolto in uno scandalo di corruzione, di dimettersi perché non poteva guidare il Paese e avrebbe preso decisioni influenzate dai suoi interessi personali. Olmert si dimise, poi fu condannato e scontò 16 mesi di carcere.

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