Grazia: Bibi verso l’accordo. Trump lo frena sulla Siria

Isaac Herzog ha voluto precisare. Dopo aver reagito con una risposta di rito all’inedita richiesta di grazia presentata da Benjamin Netanyahu, domenica, ieri il presidente israeliano ha cercato di rassicurare l’opinione pubblica, garantendo che metterà al primo posto il bene dello Stato. “Capisco molto bene che sia profondamente inquietante per molte persone in tutto il Paese – ha dichiarato Herzog – e che susciti dibattito. Ma ho già chiarito che sarà gestito nel modo più corretto e preciso possibile. Prenderò in considerazione solo il bene dello Stato e della società israeliana”. È seguita una stoccata: “Una cosa mi è chiara: la retorica violenta non mi influenza e invito il pubblico israeliano a venire alla casa del presidente per esprimere la loro opinione”. Parole di duplice interpretazione. Da un lato, Herzog sembra mettere un freno alla retorica con cui Netanyahu ha attaccato il sistema giudiziario israeliano nel memorandum di richiesta di grazia (e nel videomessaggio sui social). Dall’altro sembra rivolgersi ai manifestanti che hanno protestato domenica sera sotto la sua presidenza. IL NOME del presidente israeliano ieri era, del resto, su tutte le prime pagine dei giornali e nei titoli dei notiziari. Herzog si è visto rivolgere uno stuolo di editoriali che gli chiedevano di opporre un secco no all’ennesimo abuso di Bibi e, all’opposto, numerosi commenti su media governativi che riprendevano le tesi del premier sulla “persecuzione giudiziaria”. A ogni modo tutti gli analisti politici sembrano già dare per scontato che il presidente accetterà di concedere a Netanyahu la grazia sui generis, senza ammissione di colpa e prima di una condanna. Anche se l’iter decisionale richiederà settimane o mesi, si parla già di un negoziato dietro le quinte: il presidente potrebbe chiedere a Netanyahu un passo indietro dalla vita politica per due anni (non a vita), di varare finalmente una commissione d’inchiesta indipendente sul 7 ottobre, di bloccare l’assalto politico all’indipendenza della magistratura. E a chi ricorda i trascorsi laburisti del presidente risponde chi sottolinea le “convergenze parallele” sbocciate tra Netanyahu ed Herzog negli ultimi anni. PRESSE Il presidente, per dire, ha smesso da un po’ di insistere sul fatto che, per ottenere l’amnistia, Netanyahu avrebbe dovuto dimettersi ed esprimere rimorso. È chiaro che questa sarà la decisione per cui, in un mici er no dente Usa no parlato no modo o nell’altro, sarà ricordato in Israele. Ma la richiesta di grazia ha già cominciato a portare qualche frutto a Netanyahu. Ieri, nella consueta udienza del lunedì per il suo caso di corruzione, è riuscito a farsi annullare l’audizione prevista per oggi. Mentre il premier era impegnato a confrontarsi con i giudici, alla Knesset la sua maggioranza e il suo stesso partito Likud si spaccavano sulla questione annosa dell’esenzione degli ultraortodossi dal servizio militare. La nuova legge proposta per tenere buoni partiti ultra-religiosi, che di fatto proroga la dispensa dalla leva nonostante l’Idf abbia chiarito che ha bisogno di uomini, stavolta non sembra un compromesso accettabile neanche per la destra, incluso Smotrich. Ieri Netanyahu ha parlato al telefono con Donald Trump. Ufficialmente del futuro di Ga2a, con un invito a Washington “nel prossimo futuro”. In realtà, poche ore prima il leader israeliano era stato redarguito sui social dal presidente Usa, che ha chiesto a Israele di non mettersi di traverso con la normalizzazione della Siria: “È molto importante che Israele mantenga un dialogo forte e sincero con la Siria e che non accada nulla che possa interferire con l’evoluzione della Siria verso uno Stato prospero”, ha scritto Trump. In questi giorni invece l’Idf sta portando avanti diverse operazioni militari oltre la buffer zone che occupa, che hanno provocato anche incidenti violenti con gruppi armati siriani e la morte di decine di civili. L’obiettivo vero è l’Hezbollah in Libano. Sono da monito le parole di Tom Barrack, ex immobiliarista vicino a Trump ora ambasciatore Usa in Turchia, riportate dai media sauditi. In una comunicazione con l’Iraq, l’inviato Usa avrebbe avvisato di un imminente attacco israeliano contro il partito sciita, nella Valle della Bekaa e forse anche a Beirut. Appena dopo la fine della visita di Leone XIV nel Paese.

Il grande archivio di Israele

Abbonamenti de Il Riformista

In partnership esclusiva tra il Riformista e JNS

ABBONATI