Esecuzioni, pestaggi, espulsioni. Un giorno come un altro in Cisgiordania
Il pezzo descrive la situazione quotidiana in Cisgiordania come uno stato di continui abusi: esecuzioni, pestaggi ed espulsioni presentati come fenomeni diffusi e normalizzati. L’articolo utilizza linguaggio fortemente emotivo e casi eclatanti per costruire una narrazione di oppressione sistematica, con scarsa evidenza di pluralità di fonti istituzionali o dati contestualizzati sul quadro giudiziario o militare.
Un giorno di ordinaria violenza. Lo racconta su Haaretz da Amira Hass: “Da venerdì 7 novembre, le nostre coraggiose forze dell’Idf occupano il quartiere di Malul, nella parte sud-occidentale di Ya’bad, nel nord della Cisgiordania. Hanno fatto irruzione in sei case e hanno cacciato le 11 famiglie che ci vivevano, che da allora vagano tra le case di parenti e amici”. Violenza legalizzata. Umiliazioni quotidiane. Esecuzioni sommarie che rimangono impunite. Le squadracce fasciste dei coloni, i soldati che li sostengono, il governo che li copre, non chiedono la carta d’identità a quelli che aggrediscono. «Stavamo dormendo quando, alle 5 del mattino, siamo stati attaccati da un gruppo di coloni. Erano in 10, mascherati, armati di bastoni e fucili…». Il video che mostra l’esecuzione a freddo di due palestinesi da parte dei soldati israeliani a Jenin ha fatto il giro del mondo. Un po’ d’indignazione, qualche lacrima di coccodrillo, il tempo di un clic e si fa avanti. Ma non per tutti è così. Amira Hass conosce la Cisgiordania come le sue tasche. L’ha vissuta, l’ha raccontata negli anni. Con reportage che le sono valsi svariati riconoscimenti internazionali, ha documentato la violenza legalizzata dei coloni, i pogromisti ebrei che hanno fatto della Cisgiordania il “regno di Giudea e Samaria”. Il “regno” dei fanatici di Eretz Israel. Un “regno” supportato da un governo fascista. Espulsione, perdita dei mezzi di sussistenza, interruzione degli studi: solo un altro giorno come tanti in Cisgiordania. Un giorno come tanti in Cisgiordania. Un giorno di ordinaria violenza. Raccontato magistralmente su Haaretz da Amira Hass: “Da venerdì 7 novembre, le nostre coraggiose forze dell’Idf occupano il quartiere di Malul, nella parte sud-occidentale di Ya’bad, nel nord della Cisgiordania. Hanno fatto irruzione in sei case e hanno cacciato le 11 famiglie che ci vivevano, che da allora vagano tra le case di parenti e amici. I soldati hanno messo il loro quartier generale in una delle case e in un laboratorio di vetro e alluminio al piano terra. Il laboratorio è il mezzo di sussistenza per sei famiglie e i suoi sei lavoratori sono stati costretti a fermarsi, ha detto il proprietario, Ali Kilani, 63 anni. La maggior parte delle scuole di Ya’bad sono state chiuse e i bambini sono passati all’apprendimento online. Dopo che Kilani ha contattato l’amministrazione civile israeliana, gli è stato permesso di entrare nella sua casa, prendere alcuni effetti personali e occuparsi del pollame allevato dalla famiglia: 45 polli, sette tacchini e uccelli ornamentali. È entrato nella sua casa per la prima volta quattro giorni dopo l’occupazione. La seconda volta, venerdì scorso, ha trovato le carcasse del pollame. Alcuni uccelli ornamentali erano apparentemente volati via perché le loro gabbie erano state lasciate aperte. C’è anche un apiario nella grande area che circonda la casa, che aiuta a sostenere il sostentamento della famiglia. Kilani teme che senza prendersi cura dell’apiario, le api non torneranno. All’interno della casa ha trovato disordine e ha visto molti soldati sparsi sui materassi. Accompagnato dai soldati, è entrato nel laboratorio e ha visto che gli attrezzi e le materie prime erano spariti. Ha anche notato vestiti civili sparsi ovunque e manette di plastica sparse in giro. Si tratta – spiega Hass – di
una pratica militare sempre più segnalata: come a Tulkarm, nei campi profughi di Nablus e nella stessa Ya’bad, l’esercito sequestra una casa e la trasforma in un centro di interrogatorio. Alcune persone vengono arrestate. Secondo fonti uf?ciali palestinesi, dal momento dell’occupazione un residente di Ya’bad è stato arrestato, il 20 novembre. Non si sa se sia stato interrogato in questa casa. Insomma, un non-evento dal nostro punto di vista israeliano, un altro giorno in Cisgiordania: l’espulsione di decine di persone dalle loro case, la perdita dei mezzi di sussistenza, l’interruzione degli studi, la scomparsa dei beni e i danni alla proprietà. Il portavoce dell’Idf ha risposto alla domanda sullo scopo dell’occupazione: “Il 7 novembre, alcuni sospetti del villaggio di Ya’bad hanno bloccato una strada usata dai civili (cioè gli israeliani – A.H) nella regione con pietre e pneumatici, mettendo così in pericolo la vita dei residenti. Si è quindi deciso di mettere una presenza militare permanente nel villaggio per prevenire il terrorismo nella zona. Dopo aver esaminato le possibili alternative, il 9 novembre il comandante autorizzato ha ?rmato un ordine di sequestro della casa. L’ordine è stato pubblicato come richiesto e successivamente prorogato dopo che è stato stabilito che era ancora necessaria ‘una presenza militare continua nel villaggio’. L’unità del portavoce dell’Idf non ha risposto alla domanda su chi fosse il livello autorizzato e se ciò fosse stato fatto con l’approvazione del procuratore generale militare. All’unità del portavoce dell’Idf è stato anche chiesto: ‘Pensate che questo sia il giusto tipo di educazione per soldati di 19 e 20 anni, che ogni volta che il loro comandante lo desidera, espellono le persone dalle loro case e usano le loro case, le loro proprietà, la loro elettricità e la loro acqua?’. A questa domanda non abbiamo ricevuto alcuna risposta. L’unità del portavoce dell’Idf ha concluso la sua risposta con la strana affermazione che ‘ad oggi non sono state presentate obiezioni all’ordine’. Come se, in assenza di obiezioni, le persone accettassero di essere sradicate dalle loro case e di vederle trasformate in basi militari. Questo è successo venerdì scorso. Alla fine di questa settimana, la casa era ancora occupata”. Non è un caso isolato. È prassi quotidiana. “Ecco come si presenta la vendetta collettiva di routine da parte di un esercito che si prepara a governare per sempre su una popolazione che considera superiore. Questo è l’esercito che, da quando gli Accordi di Oslo hanno istituito l’Autorità Palestinese, si considera esente da tutti i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale nei confronti della popolazione occupata”, conclude Hass. Violenza legalizzata. Umiliazioni quotidiane. Campi vandalizzati. Esecuzioni sommarie che rimangono impunite. Le squadracce fasciste dei coloni, i soldati che li sostengono, il governo che li copre, non chiedono la carta d’identità a quelli che aggrediscono, picchiano, umiliano. «Stavamo dormendo quando, alle 5 del mattino, siamo stati attaccati da un gruppo di coloni. Erano in 10, mascherati, armati di bastoni e fucili…». Un racconto drammatico fatto ieri dai tre volontari italiani della missione di solidarietà internazionale «Faz3a», due ragazze e un ragazzo, aggrediti all’alba insieme a una loro collega canadese dai coloni israeliani in Cisgiordania. «E questo è successo in zona A — hanno precisato a Tg3 e Sky Tg24 — quindi dove per legge, anche per gli accordi di Oslo, non dovrebbe esserci alcun tipo di presenza israeliana». E invece è avvenuto: «I coloni ci hanno svegliato al grido di “wake up italians”, sveglia italiani!». Secondo loro tanta violenza si sarebbe scatenata perché «probabilmente sono al corrente del supporto della popolazione italiana alla causa palestinese ed erano ancora più arrabbiati per questo». «Hanno cominciato a picchiarci con dei pugni e a schiaffeggiarci. Ci hanno dato pure dei calci in faccia, nelle costole, nell’addome, ai genitali, lungo le gambe. Io ho un forte dolore alle costole — ha raccontato una delle due ragazze italiane, di 27 anni —. La mia amica del Canada che è qui con me sta molto peggio: ha dei lividi neri per tutta la lunghezza di una gamba e dell’addome. Loro sapevano benissimo che eravamo stranieri e, quando se ne sono andati, dopo aver rubato tutta la nostra roba, ci hanno detto in inglese “Don’t come back here”, cioè non tornate qui». Ma loro hanno risposto all’unisono che torneranno. L’attacco, secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, è avvenuto nella comunità di Ein al-Duyuk, vicino a Gerico. Dopo il brutale pestaggio, i coloni hanno portato via anche soldi, passaporti e telefoni cellulari alle loro vittime, ricoverate in ospedale e assistite in prima battuta dal sindaco di Gerico e dalla polizia palestinese a cui hanno denunciato l’episodio. In Italia, insorge l’opposizione: «Il governo italiano deve imporre sanzioni a Israele per la sistematica violenza dei coloni in Cisgiordania », chiede Angelo Bonelli (Avs). Per Nicola Fratoianni, leader di Sinistra italiana, «non bastano le parole di condanna del ministro Tajani, dopo che 3 nostri connazionali sono stati aggrediti e feriti dai coloni israeliani. Il governo Meloni convochi immediatamente alla Farnesina l’ambasciatore in Italia del regime di Netanyahu». Incalza il responsabile della politica estera del PD, Peppe Provenzano: «Tre italiani sono stati colpiti da coloni in Cisgiordania e il popolo palestinese dopo il cessate il fuoco non è al sicuro. La causa palestinese deve essere la nostra causa». “Si tratta di giovani cooperanti che accompagnano le attività dei palestinesi, portano i bambini a scuola, aiutano gli agricoltori, i pastori, costituiscono una sorta di protezione civile per la popolazione locale”, puntualizza il ministro degli Esteri Antonio Tajani”. “Quindi l’appello che lanciamo al governo di Israele è di fermare i coloni e impedire che continuino queste violenze che non servono alla realizzazione del piano di pace per il quale tutti quanti stiamo lavorando», conclude il titolare della Farnesina, che forse dimentica che nel governo a cui si appella dominano due ministri sfacciatamente dalla parte dei coloni: Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich e che solo qualche giorno fa il ministro della Difesa israeliano Israel Katz (del partito Likud, lo stesso del premier Netanyahu) ha sdegnosamente negato che i coloni in armi siano dei terroristi ma al massimo dei “disturbatori dell’ordine pubblico”. La campagna Faz’a («faz’a» è un termine colloquiale palestinese che vuol dire «aiuto nel momento del bisogno») è sostenuta da varie associazioni italiane ed è coordinata da Assopace Palestina di Luisa Morgantini. Dimessi dall’ospedale di Gerico, domenica, i 4 attivisti sono rientrati a Ramallah e «lasceranno il Paese solo al termine della loro missione», fanno sapere dall’organizzazione. Questa è la quotidianità nel “regno dei coloni”. Il regno della violenza legalizzata. Il terrorismo che si fa Stato.