Il ritorno dei rapiti e la vittoria di Israele

14 Ottobre 2025 alle 11:50

L’articolo di Ugo Volli celebra la liberazione degli ostaggi e il recupero delle salme come una grande festa e un sollievo intimo per tutto Israele e la diaspora ebraica. L’autore sottolinea che per il popolo ebraico, lutto e angoscia per ogni rapito o ucciso sono sentimenti “intimi, concreti, quasi corporei”, radicati in millenni di persecuzioni. Riportare a casa i rapiti e dare sepoltura ai defunti è un precetto religioso e un imperativo personale, poiché ogni ebreo si identifica con le vittime. Questa festa, sebbene abbia avuto un prezzo (il rilascio di centinaia di assassini), è ritenuta necessaria per liberare i prigionieri e neutralizzare, almeno temporaneamente, i rapitori.

L’affermazione di Israele sulla scena globale

La vittoria non è solo interna, ma ha anche una dimensione internazionale. L’autore evidenzia la presenza del Presidente americano Donald Trump alla Knesset come una chiara affermazione del sostegno internazionale a Israele. Nonostante Netanyahu abbia dovuto declinare l’invito al vertice sul Medio Oriente a Sharm El Sheikh per non violare la festività ebraica di Simhat Torà, questi appuntamenti con capi di Stato come Erdogan e al-Sisi e la potenziale visita del Presidente dell’Indonesia (il maggiore Paese islamico non ancora riconoscente Israele) sono solo rimandati.

La più grande vittoria strategica, tuttavia, risiede nel fatto che l’attacco del 7 ottobre, inteso a bloccare gli Accordi di Abramo e la normalizzazione di Israele, ha invece portato a un’estensione dei rapporti e all’accettazione di Israele nel contesto mediorientale. Questa normalizzazione sta già portando a una collaborazione militare “costante e silenziosa” con Stati chiave come Giordania, Egitto, Arabia ed Emirati, gettando le basi per una nuova linea commerciale e di civiltà tra l’India, l’Europa e gli USA, in diretta concorrenza con la “Via della Seta” cinese.

Il fallimento e il monito per l’Europa

L’articolo critica aspramente l’Europa, in particolare i Paesi a guida di sinistra (Spagna, Francia, Belgio, Irlanda, Slovenia, più Regno Unito, Canada, Australia, con l’eccezione di Germania e Italia), che sono rimasti “del tutto fuori” da questa nuova linea di cooperazione. Questi Paesi sono accusati di aver tentato di risolvere la crisi con il vecchio approccio di “umiliare e minacciare Israele”, mentre la soluzione (la coercizione su Hamas) è stata raggiunta tramite l’offensiva israeliana e l’iniziativa di Trump.

Le prospettive del piano locale

Sul piano locale, restano due possibili scenari se i dirigenti di Hamas non dovessero accettare di deporre le armi e andare in esilio, come previsto dai “20 punti di Trump”:

Ripresa della guerra da parte israeliana. Con gli ostaggi liberati, Israele non avrebbe più l’incubo di colpire i rapiti usati come scudi umani e potrebbe operare con maggiore efficacia.
Continuazione dell’assedio. Israele potrebbe attendere il collasso dei terroristi, installando un’amministrazione civile e una forza militare internazionale sulla parte di Gaza che controlla, come previsto dal piano Trump, bloccando ogni tentativo offensivo o di fortificazione.

 

L’articolo conclude con la gioia della vittoria e un monito per il futuro: Israele ha vinto un’altra guerra in cui è stato aggredito a tradimento, dimostrando che la vera chiave della sicurezza è l’autodifesa fino alla vittoria, non il compianto. Chi attacca Israele “paga un prezzo pesante”.

Il grande archivio di Israele

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