Bennett prepara la corsa per il 2026 Può formare una lista con Eisenkot
L’ex premier di Israele: sì alla grazia per Netanyahu, a patto che poi si ritiri dalla politica Vuole approfittare del forte consenso popolare, magari insieme al già Capo di Stato maggiore L’Iran aumenta la pressione su Hamas ed Hezbollah e tenta di destabilizzare al-Jolani TEL AVIV N aftali Bennett, già premier di Israele prima dell’attuale governo Netanyahu, ha appoggiato la richiesta di grazia di Bibi, condizionandola però al suo ritiro dalla politica. Una posizione che appare più come una mossa di apertura della campagna elettorale che come una reale volontà di accordo politico e costituzionale, soprattutto considerando che Netanyahu ha già dichiarato di volersi ricandidare alle prossime elezioni, previste entro ottobre 2026. Bennett, uomo religioso e di destra – il suo partito, sciolto prima delle ultime elezioni, si chiamava Yamina, che in ebraico significa “destra” – è oggi l’unico, dopo il declino di Gantz, a riscuotere un forte consenso nei sondaggi. È anche l’unico che, secondo le rilevazioni, potrebbe ottenere un numero di seggi simile al Likud, formando una nuova lista insieme all’ex Capo di Stato maggiore Gadi Eisenkot, figura molto rispettata nel Paese dopo la perdita del figlio in battaglia a Gaza, e uscito dal partito Blue and White di Gantz. Un’opposizione guidata da Bennett potrebbe realisticamente ambire a guidare Israele nella prossima legislatura. Nel frattempo, sono già iniziati i primi sit-in davanti alla residenza del Presidente Herzog da parte di chi si oppone fermamente alla grazia. Il Paese sembra avviarsi verso un nuovo “autunno caldo”, simile a quello delle grandi proteste contro la riforma della giustizia, prima del 7 ottobre 2023. Per ora, la richiesta di Netanyahu ha avuto l’effetto di aumentare la polarizzazione dell’opinione pubblica, piuttosto che avviare quel processo di riconciliazione che il premier dichiarava di auspicare. Il Presidente Herzog, che dovrà decidere se concedere o meno la grazia, ha già trasmesso la richiesta al Dipartimento per le Grazie del Ministero della Giustizia, competente per queste procedure. Ha inoltre fatto sapere che la decisione – qualunque essa sia non arriverà prima di alcuni mesi. Sul fronte esterno, la tregua si trova in una fase di stallo, con un concreto rischio di una ripresa delle ostilità. L’Iran sta aumentando la pressione su Hamas ed Hezbollah affinché tornino al conflitto. In questo contesto si inserisce anche il colloquio telefonico tra Trump e Netanyahu: il Presidente americano ha invitato il premier israeliano alla Casa Bianca, senza però indicare una data. In Siria, l’Iran tenta di destabilizzare al-Jolani per ampliare la propria influenza, con l’appoggio della Russia. Per Israele, ciò rende ancora più strategica la presenza della zona cuscinetto in Siria, fondamentale per la sicurezza del Golan. Nella notte tra il 28 e il 29 novembre, l’Idf ha compiuto un blitz nel villaggio di Beit Jinn, nel sud della Siria, a circa 40 chilometri da Damasco, arrestando due miliziani di al-Jamaa al-Islamiyya, una filiale dei Fratelli Musulmani. Durante il ritiro, le forze israeliane sono state colpite da un’imboscata che non ha compromesso l’operazione ma ha provocato il ferimento di sei soldati riservisti, due dei quali in condizioni gravi, e l’uccisione di almeno 14 miliziani. La situazione nel triangolo Israele-Siria-Libano rimane in continua evoluzione e, per essere risolta pacificamente, potrebbe richiedere un’altra “magia diplomatica” del Presidente Trump.