Sconfinare con la letteratura: in dialogo con Roy Chen oltre il grande frastuono
di Clelia Castellano - 5 Dicembre 2025 alle 18:25
A pochi mesi dall’uscita de Il grande frastuono, e in attesa della replica di “Chi come me” al teatro Parenti di Milano dal 13 gennaio 2026 al primo marzo tutte le sere, ho intervistato Roy Chen.
Nel tuo ultimo romanzo hai raccontato il grande frastuono della vita contemporanea: la letteratura è un possibile rimedio?
Prima di essere uno scrittore sono un lettore. Ed è la dimensione del lettore, che dobbiamo abitare lungo i giorni, per attutire il rumore del quotidiano. Leggere significa porsi in ascolto, non parlare, accettare di guardare il mondo con gli occhi di qualcun altro, senza il brusio dei media, né l’isteria social o le dopamine di instagram. Man mano che ci si addentra lungo le pagine, si compie il viaggio della Letteratura: un viaggio nel silenzio costruito con le parole, un viaggio silenzioso dell’anima con emozioni forti, mentre tutto il mondo rivive dentro il lettore. Sono i lettori a infondere vita ai libri, che altrimenti non sarebbero nient’altro che pagine. Ognuno crea nella sua mente il suo libro, lo riscrive in un dialogo strano: quello fra lo scrittore fisicamente lontano e il lettore vivente per il tempo della lettura – una parte è presente in ascolto e pensiero, l’altra è assente, ma presente attraverso le parole scritte. Arte e letteratura come esperienza di questa eccezionalità, in un mondo dove la maggior parte delle persone non sa ascoltare, sono il rimedio.

Con quale dei tuoi libri sei stato più in guerra?
Anime, il romanzo di una grande ricerca. Protagonista è un’anima che si reincarna: nato 400 anni fa in un villaggio ebraico lituano, poi nel ghetto ebraico di Venezia nel 700, poi nell’ 800 in Marocco come donna e poi nel primo Novecento nato come pulce in Germania e nel XXI è Grisha, nato a Mosca e arrivato con sua mamma a Jaffa negli anni 90, dopo la cortina di ferro. Grisha racconta ai lettori la storia della sua anima. Sua mamma non ci crede e spiega ai lettori che sono bugie, dettate dalla sua incapacità di accettare i cambiamenti nella vita. I fantasmi del figlio sono traducibili nelle spiegazioni prosaiche della mamma. Il lettore deve scegliere a chi credere, se al romanzo poetico del figlio o alla prosa reale materna, che racconta anche una storia di migrazione. La parte storica era complessa, scriverla è stata una guerra difficile. Ho visitato tutti i luoghi del libro, compreso il Marocco, del quale è originaria la mia famiglia. Era la mia sfida scrivere un romanzo storico però leggero, che restituisse gli alti e bassi del vivere.
Cosa non può mai mancare nei tuoi libri?
Nella mia prosa umorismo ed erotismo non devono mancare, simboli della vita. Un erotismo non volgare, e un umorismo travolgente ma anche intriso di profondità, persino di lacrime. A volte si ride per l’imbarazzo di mostrare le lacrime. Sorridere è sempre stata un’arma, per il popolo ebraico.
Quale personaggio ti ha più consolato?
Tzipora ne Il Grande frastuono, divertente intelligente, ha visto e letto più di me, ha parlato con Dio, ha capito le cose che contano che io non ho ancora compreso. Spesso sono più sensibili e intelligenti di me, i personaggi
Quanto pesa l’ebraismo sul tuo essere scrittore?
Sono ateo ed ebreo: so in quale Dio non credo, ma con Lui parlo ogni giorno per dirgli che non gli credo, e lo interrogo! Una contraddizione, ma il paradosso è l’essenza dell’ebraismo. Accettare il caos del mondo è molto ebraico. La nostra storia è paradossale, come la nostra letteratura, che comincia con Bibbia, Talmud, Mishna e soprattutto la poesia meravigliosa ebraica in Spagna nell’ Epoca d’Oro della letteratura ebraica, dal X secolo alla gherush. I sefarditi spagnoli, ai quali sono dedicati i nomi di tante strade di Tel Aviv, hanno scritto in un ebraico meraviglioso testi che restituiscono le ambivalenze del vivere: testi su vino, amore, umorismo. Fra questi Ibn Gebirol per me è straordinario. Ma amo anche il paradosso dei testi teatrali veneziani e padovani scritti dal cinquecento, e La commedia del fidanzamento di nel 1550 Leone De’ Somi. Più recente, amo Immanuel Romano. Potrei continuare … Sento mia questa grande cultura che buca tempi e spazi, dentro e attraverso una lingua magnifica.
E quanto pesa l’ebraismo sul tuo essere persona?
Oggi ebreo significa shoah, soldato a Gaza e ricco banchiere americano, ma per me l’ebraismo è oltre questi stereotipi, e unisce da oriente a occidente il popolo ebraico attraverso impreviste peregrinazioni, per le vicende della diaspora e per l’aver ripreso la lingua delle origini. Soprattutto da questo punto di vista mi sento ebraico, dentro questa lingua viaggiante, peregrina. Non mangio kasher, lavoro a shabbat, ma sono parte di questa grandezza. Posso, dentro quella lingua, salire sulla macchina del tempo. Con l’aiuto dell’arte possiamo vivere in un mondo senza confini, senza passaporti, senza nazionalità. Grazie al mio lavoro incontro l’anima di attori musulmani e proprio in queste settimane, grazie al direttore del teatro Parenti, André Ruth Shammah, sto lavorando con Ashkan Khatibi, un attore iraniano. Figli di due paesi nemici, ci incontriamo e creiamo. La forza dell’arte è gettare ponti dove sembra impossibile.