Iacchetti, Mizrahi e la malattia della narrazione unica

di Paolo Crucianelli - 18 Settembre 2025 alle 12:35

Quello che è accaduto martedì sera a È sempre Cartabianca è più di una lite televisiva: è il sintomo di una vera e propria malattia che sta contagiando ampie fette dell’opinione pubblica. Enzo Iacchetti, volto noto dello spettacolo, un umorista dai toni solitamente gentili, ha perso completamente il controllo di fronte a Eyal Mizrahi, medico e presidente dell’associazione Amici di Israele.

La scena è stata surreale. Rivolgendosi a Bianca Berlinguer, Iacchetti ha urlato, con il volto alterato dalla rabbia: «Non mi chiamare più se c’è un contraddittorio, perché in questa guerra non ci deve essere un contraddittorio. Non è una guerra, c’è solo un esercito. Nessuno deve contraddire la verità che stiamo vedendo da mesi». A quel punto, Mizrahi ha risposto pacatamente: «Scusi Enzo, allora lei è un fascista». Una frase provocatoria solo in apparenza, in realtà una semplice constatazione logica: rifiutare il contraddittorio significa rifiutare la democrazia.

Ma le parole hanno acceso ancor di più l’ira di Iacchetti, che si è lasciato andare a minacce inaudite: «Cosa hai detto st….o? Vengo giù e ti prendo a pugni, lo so che sei qua sotto». Mizrahi, va sottolineato, non stava difendendo acriticamente Israele.

Al contrario, ha ricordato come, a suo avviso, l’attuale governo Netanyahu sia «il peggiore della storia israeliana» e ha definito vergognosi gli estremisti Smotrich e Ben Gvir. Tentava, insomma, di portare una voce critica ma equilibrata. Aveva, infatti, precedentemente cercato di far ragionare sia Iacchetti che la conduttrice, sostenendo che i numeri dei decessi che venivano universalmente presi in considerazione, sono quelli comunicati dal “Ministero della salute di Gaza”, quindi da Hamas, e che i numeri che stimava Israele fossero più contenuti ma, soprattutto, che metà di quei decessi riguardava combattenti terroristi e non civili.

Eppure, questo non è stato possibile. La reazione di Iacchetti racconta bene cosa stia diventando il dibattito pubblico: una narrazione a senso unico, un dogma che non ammette repliche. I numeri dei morti diffusi da Hamas vengono assunti come verità assoluta, senza chiedersi se siano reali, come siano raccolti, né distinguendo tra civili e miliziani. Non importa: la Verità è quella, non si discute.

È il nuovo Vangelo di un’ideologia che ha assunto i contorni di una religione laica, dove dubitare equivale a bestemmiare. Chi prova a mettere in dubbio viene bollato come complice, zittito o insultato, se non addirittura aggredito fisicamente.

L’episodio di martedì non riguarda solo Enzo Iacchetti. È il riflesso di un clima culturale che soffoca la critica, cancella il contraddittorio e pretende di sostituire il libero confronto con un’unica verità indiscutibile. Una malattia contagiosa, un “virus intellettivo”, che trasforma il dibattito democratico in un monologo rabbioso e indiscutibile. Il contraddittorio non è un optional: è la sostanza della democrazia.

Senza il confronto tra posizioni diverse, anche aspre, si scivola inevitabilmente nell’autoritarismo del pensiero unico. È inquietante che un volto noto della televisione italiana invochi pubblicamente la soppressione del dibattito e, peggio ancora, arrivi a minacciare chi osa esprimere una voce diversa. Chi ha visibilità e influenza dovrebbe ricordare che la responsabilità della parola è enorme.

Alimentare odio, urlare contro chi dissente, significa gettare benzina sul fuoco di un conflitto già lacerante. L’Italia, l’Europa, l’Occidente intero hanno bisogno di più confronto, non di meno. Di più ragionevolezza, non di più isteria. Non ci può essere pace senza verità, e non ci può essere verità senza pluralità di voci. Per questo, difendere il contraddittorio non è un favore a Israele o alla Palestina: è un dovere verso la civiltà democratica.

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