La pace si costruisce con il disarmo del terrorismo

A Gaza è un’operazione di liberazione, Israele protegge i civili palestinesi da chi li affama e li usa come carne da cannone

di HaKol - 11 Agosto 2025 alle 13:43

Il recente piano approvato dal governo israeliano e sostenuto dal premier Benjamin Netanyahu rappresenta, forse, il passaggio decisivo per chiudere un capitolo di terrore che dura da troppo tempo. L’idea di prendere il pieno controllo di Gaza City, disarmare completamente Hamas e creare una zona di sicurezza non è un’“occupazione” come vorrebbe far credere qualcuno, ma un’operazione di liberazione. Liberazione di un territorio e, soprattutto, della sua popolazione da un regime terroristico che ha fatto della paura, della violenza e del ricatto il proprio strumento di governo. Hamas, che ancora conta centinaia di miliziani operativi nella Striscia e che – va ricordato – ha ancora una cinquantina di ostaggi israeliani, continua a sottrarre gli aiuti alimentari alla popolazione per alimentare la propria macchina propagandistica. Porre fine a questa realtà significa dare una possibilità concreta a un futuro diverso, in cui la parola “pace” possa tornare ad avere significato.

La vera occupazione è quella imposta da Hamas alla propria gente, tenuta sotto un dominio autoritario che reprime libertà e diritti. Chiamare liberazione questa azione non è retorica: significa riconoscere che ogni passo verso il disarmo dei terroristi è un passo verso la pace e verso la liberazione di tutti gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. E sorprende e preoccupa la decisione annunciata da Australia, Canada, Francia e Regno Unito di voler riconoscere, a settembre, lo “Stato di Palestina” all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Una scelta politicamente miope e giuridicamente insostenibile. Per essere definito Stato, secondo il diritto internazionale, servono requisiti chiari oltre a quello della popolazione stabile e del territorio più o meno definito: sono necessari anche un governo effettivo e la capacità di intrattenere relazioni internazionali e Gaza e Cisgiordania non rispondono a nessuno di questi criteri. La realtà è che, sotto Hamas e con una leadership frammentata, la Palestina è ben lontana dall’essere uno Stato. Il riconoscimento politico, in assenza di questi requisiti, non aiuta il processo di pace: lo compromette, legittimando un’entità che non ha ancora dimostrato di saper garantire ordine, sicurezza e rispetto dei diritti umani.

Israele ha il diritto e il dovere di difendere i propri cittadini, e con questo piano mira a farlo proteggendo al contempo la popolazione civile palestinese da chi l’ha usata come carne da cannone e che oggi ricatta con il cibo, scaricando furbescamente le colpe su Israele. Non sarà un percorso semplice, ma è l’unica via per spezzare definitivamente il ciclo di violenza e restituire a Gaza la possibilità di vivere senza il giogo del terrore. In un contesto in cui le regole sembrano non valere più e in cui si tende a confondere la diplomazia con la resa, serve invece chiarezza: la pace – quella duratura, quella definitiva – si costruisce con il disarmo del terrorismo, non con il suo riconoscimento.

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