La verità dei dati contro la menzogna politica

A Gaza non ci sono genocidio e carestia, lo studio empirico smonta le accuse: Israele attacca i terroristi e fornisce cibo

di HaKol - 5 Settembre 2025 alle 10:41

C’è un termine che, più di ogni altro, fa tremare le coscienze: genocidio. È la parola che definisce la Shoah, i massacri in Ruanda, i campi di sterminio in Bosnia. È la parola che segna l’abisso morale dell’umanità. Proprio per questo viene usata a sproposito come arma devastante, per calpestare la memoria storica e strumentalizzare il diritto internazionale. Accusare Israele di genocidio [1] significa accusare lo Stato ebraico – nato dalle ceneri dell’Olocausto – di ripetere lo stesso crimine di cui fu vittima. Una menzogna che trova terreno fertile nelle piazze, nelle Università e perfino nella comunità internazionale. Ma la verità è un’altra: nessun dato empirico dimostra un disegno di sterminio.
La tesi del genocidio viene smontata pezzo per pezzo dallo studio del Centro Begin-Sadat per gli Studi Strategici (BESA), Università Bar-Ilan, firmato da Danny Orbach, Jonathan Boxman, Yagil Henkin, Jonathan Braverman. «Le accuse di genocidio non sono corroborate dai dati empirici», scrivono nero su bianco gli esperti. Non è un dettaglio: è il cuore della questione. Anzi, subito dopo affermano che le dinamiche sul terreno (come evacuazioni, corridoi umanitari, pause operative) «suggeriscono piuttosto un tentativo, pur imperfetto, di limitare i danni collaterali».
Lo studio del BESA: i fatti abbattono la propaganda

Il documento non è uno scritto polemico, ma una ricerca storica e quantitativa che prende in esame la guerra tra Israele e Hamas dal 7 ottobre 2023 all’1 giugno 2025. Il metodo è semplice ma rigoroso: confrontare dati ufficiali israeliani, comunicati ufficiali di Cogat (Coordinatore delle attività governative nei territori), rapporti dell’Onu, stime di Ong, indagini giornalistiche e fonti militari. Non opinioni o slogan, ma numeri e verifiche. Fatti. L’obiettivo è capire se davvero esistano le prove di un piano genocidiario. Il responso è netto, inequivocabile: non ci sono. Esistono invece migliaia di vittime civili, distruzioni immani, sofferenze senza fine. Ma la responsabilità è dei terroristi, che utilizzano la popolazione come scudo umano e che costruiscono le proprie basi militari operative sotto le infrastrutture sensibili, come scuole e ospedali.
Il contesto: tutto è partito dal 7 ottobre 2023

Per capire tutto bisogna partire dall’inizio. Ovvero dal 7 ottobre 2023, quando Hamas lancia l’attacco più sanguinoso mai subìto da Israele: circa 1.200 morti, in gran parte civili, e oltre 250 ostaggi rapiti. Un pogrom bestiale. La risposta israeliana è inevitabile: un conflitto su larga scala, con operazioni di terra e un’offensiva aerea senza precedenti. Da quel momento, però, Hamas e i suoi alleati costruiscono la narrazione del «genocidio a Gaza», presentando lo Stato ebraico come carnefice e facendo cadere nel dimenticatoio il Sabato Nero. E l’Occidente fa da sponda alla macchina del fango. Le accuse sono sempre le solite: Israele affama deliberatamente la popolazione di Gaza; le forze di terra israeliane massacrano intenzionalmente civili; l’aviazione bombarda indiscriminatamente, senza distinguere tra combattenti e civili, colpendo in maniera sproporzionata.

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Fame come arma? I dati dicono il contrario

Uno dei capisaldi dell’accusa è la presunta fame deliberata imposta da Israele [3]. Secondo alcune Ong, la popolazione della Striscia sarebbe ridotta a livelli di carestia. Le immagini di bambini malnutriti fanno il giro del mondo, accompagnate da accuse di «affamare un popolo». Ma lo studio smonta questa narrativa. I dati calorici pro capite mostrano oscillazioni, ma mai un crollo sotto la soglia minima di sopravvivenza fissata a 1.800 calorie al giorno. Tra ottobre 2023 e giugno 2025, la disponibilità media varia tra 1.900 e 2.500 calorie: un livello ridotto, ma non compatibile con una carestia indotta.
Lo Stato ebraico, pur tra mille difficoltà, autorizza corridoi umanitari e pause operative. I convogli di aiuti non si azzerano. Al contrario, spesso è Hamas a ostacolarne la distribuzione, sequestrando cibo e carburante per i suoi combattenti. «I dati raccolti mostrano come gran parte delle forniture alimentari sia effettivamente entrata nella Striscia, nonostante le difficoltà logistiche, i combattimenti e le interferenze di Hamas, che spesso ha sequestrato o ridistribuito gli aiuti per i propri fini militari», si legge nello studio.
Le proiezioni dell’IPC (Integrated Food Security Phase Classification) che parlano di «carestia conclamata» si rivelano sistematicamente più pessimistiche rispetto ai dati reali di mortalità. Il confronto storico è decisivo: nell’Ucraina staliniana o nel Biafra, i governi imposero il blocco totale dei rifornimenti, causando milioni di morti. A Gaza non è mai avvenuto nulla di simile. Insomma, la storiella della carestia «appare come il frutto di una combinazione di propaganda, proiezioni statistiche gonfiate e percezioni distorte, piuttosto che di una realtà documentata da dati empirici solidi».
Operazioni di terra: guerra urbana, non massacri

Un’altra accusa pesante riguarda le forze terrestri israeliane, accusate di compiere massacri sistematici di civili. Ma qui entra in gioco la natura del teatro di guerra: Gaza è una delle aree più densamente popolate del mondo, con tunnel sotterranei, depositi d’armi sotto scuole e ospedali, centri di comando dentro moschee e campi profughi. In questo contesto, assai complicato, ogni scontro porta inevitabilmente vittime civili. Ma «inevitabile» non significa «pianificato». Numerose «stragi» denunciate da Hamas si sono rivelate, dopo verifiche, scontri a fuoco con combattenti.
Un’analisi quantitativa mostra tre elementi chiave: il rapporto tra civili e combattenti uccisi «è stato molto dibattuto, ma le stime più credibili indicano una proporzione vicina a 1:1»; in conflitti urbani di simile intensità (pensiamo ad esempio a Mosul 2017, Falluja 2004), il numero di vittime civili «è stato proporzionalmente persino più alto»; non emergono prove di una strategia israeliana volta a «uccidere civili per ucciderli», bensì si tratta di «operazioni mirate contro Hamas che hanno causato, inevitabilmente, pesanti danni collaterali».
La conclusione è amara per gli odiatori dello Stato ebraico: le vittime civili sono il risultato di combattimenti in aree densamente abitate, della tattica di Hamas di mimetizzarsi tra i civili, dell’inevitabile costo umano delle operazioni urbane ad alta intensità. Tradotto: «Non vi sono prove convincenti che Israele abbia adottato una politica di sterminio sistematico mediante le proprie forze terrestri».
L’aviazione israeliana: colpi mirati, non ciechi

Il terzo capo d’accusa riguarda i bombardamenti aerei. Nessuno nega che abbiano effetti devastanti: migliaia di morti e interi quartieri distrutti. Ma la domanda è: sono indiscriminati? L’analisi mostra che la gran parte degli obiettivi riguarda le infrastrutture militari: centri di comando, tunnel, depositi di razzi. Israele adotta misure uniche per avvertire i civili: telefonate, messaggi, volantini, la tecnica del roof knocking. Azioni che non si conciliano affatto con un piano genocidiario. Sono, infatti, pratiche di avvertimento. L’uso massiccio ma mirato della forza non è riconducibile a un progetto di genocidio. Ci sono errori di valutazione e imprecisioni durante le operazioni? Nessuno lo esclude. Ma «gli errori e gli eccessi non equivalgono a una strategia di annientamento».
E non può passare in secondo piano il confronto storico, ancora una volta eloquente: «Nei genocidi documentati del XX secolo, i governi responsabili hanno deliberatamente preso di mira popolazioni civili con lo scopo di annientarle». Discorso diametralmente opposto per Gaza: qui i bombardamenti, «per quanto devastanti», sono diretti contro obiettivi militari identificabili, «in un contesto in cui Hamas opera costantemente all’interno di aree civili».

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La forza della propaganda di Hamas

Perché allora l’accusa di genocidio ha tanto successo? Perché Hamas investe massicciamente sul fronte mediatico. Ogni azione israeliana è presentata come un crimine deliberato. Numeri gonfiati, foto decontestualizzate, narrazioni rilanciate da Al Jazeera e da reti iraniane costruiscono un racconto potente e virale. Come nota il documento, «la forza dell’accusa di genocidio non risiede nelle prove, ma nella sua efficacia simbolica e propagandistica».
Il risultato? Hamas guadagna consensi politici, si presenta come vittima di un progetto di sterminio, condiziona pesantemente la percezione internazionale – anche nei Paesi occidentali – e mette la pietra tombale su ogni possibilità di analisi equilibrata e basata sui dati. Tutti in piedi per il capolavoro compiuto dall’Occidente: Paesi, Ong e attivisti che ripetono a pappagallo l’infamante tesi di genocidio; politici che invocano sanzioni e isolamento diplomatico; organismi internazionali che rilanciano stime e narrative «senza sufficiente spirito critico», contribuendo a consolidare l’immagine di Israele come «Stato genocida».
La risposta di Israele e il nodo giuridico

Israele respinge con forza l’accusa, anche di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia, ribadendo che il suo obiettivo non è sterminare i gazawi ma distruggere Hamas. L’Idf si attiene alle norme di diritto bellico, «con procedure di avvertimento e limitazione dei danni collaterali».
«Secondo la Convenzione ONU del 1948, il genocidio richiede l’intenzione specifica di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso», ricorda lo studio. E invece l’analisi giuridica mostra che «non vi sono prove di un intento genocidiario da parte di Israele». Non a caso, molti esperti di diritto internazionale avvertono: l’uso improprio del termine genocidio «rischia di indebolire l’intero sistema giuridico internazionale, creando un precedente politico più che legale».
Storia e memoria: distinguere le tragedie

La lezione storica è chiara. Nei genocidi veri c’era un obiettivo esplicito: annientare un popolo. Shoah, Ruanda, Armenia, Bosnia: tutti accomunati da pianificazione sistematica e uso delle istituzioni statali per lo sterminio. Niente di tutto questo è riscontrabile a Gaza. Israele combatte un’organizzazione armata che si nasconde tra i civili, e non un’intera popolazione. Parlare di genocidio in questo contesto significa umiliare la Shoah e le altre tragedie del Novecento.
La verità dei dati contro la menzogna politica

Il conflitto tra Israele e Hamas è tra i più sanguinosi della storia recente del Medio Oriente. Migliaia di morti e sofferenze indicibili. Ma non è un genocidio. La vera arma di Hamas non è solo il razzo o il tunnel, ma la propaganda. E la lezione è una: difendere l’integrità della parola genocidio, riservandola ai casi in cui c’è davvero un piano di sterminio, e non a guerre che – per quanto brutali – restano conflitti tra eserciti e milizie di terroristi.

[1] https://www.ilriformista.it/genocidio-a-gaza-uno-studio-smonta-i-dati-di-un-women-numeri-sui-morti-travisati-e-fonti-fake-479301/
[2] https://www.ilriformista.it/a-gaza-non-ci-sono-genocidio-e-carestia-lo-studio-empirico-smonta-le-accuse-israele-attacca-i-terroristi-e-fornisce-cibo-480028/graf-2/
[3] https://www.ilriformista.it/carestia-a-gaza-crolla-ogni-accusa-il-rapporto-fantasma-dellipc-e-pieno-di-dati-deboli-478823/
[4] https://www.ilriformista.it/a-gaza-non-ci-sono-genocidio-e-carestia-lo-studio-empirico-smonta-le-accuse-israele-attacca-i-terroristi-e-fornisce-cibo-480028/gaza-genocidio-fonte-dati/

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