Un botta e risposta che segnala quanto fragile resti il dialogo

A sessant’anni dalla Nostra Aetate, l’antisemitismo riaffiora nella Chiesa: le parole di Parolin e il ‘sigillo’ di papa Leone XIV

di Giuseppe Altamore - 10 Ottobre 2025 alle 13:40

Cala la nebbia sul 60° anniversario della Nostra Aetate, che cade proprio in questo mese. Il rivoluzionario messaggio ecclesiale in difesa degli ebrei sembra sbiadito. La dichiarazione conciliare del 28 ottobre 1965, che cambiò per sempre i rapporti della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane e soprattutto con l’ebraismo, sarà ancora ricordato? In poche pagine, la Dichiarazione spezzava la catena di secoli di sospetti e violenta ostilità: gli ebrei non potevano più essere ritenuti collettivamente responsabili della morte di Gesù e ogni forma di antisemitismo doveva essere deplorata. L’accusa di deicidio era caduta. Si tratta di un testo breve, ma rivoluzionario.

Quel giorno segnava una svolta rispetto a un passato segnato da violenza e discriminazione. Leone XIII, ancora a fine Ottocento, definiva gli ebrei «avversari naturali della Chiesa». Un linguaggio che oggi appare lontano dallo spirito conciliare e che dimostra quanto fosse necessario quel cambio di rotta. Dalla Nostra Aetate nacquero gesti profetici che hanno aperto la strada al dialogo tra le due fedi: la visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma nel 1986, l’abbraccio con il rabbino Elio Toaff, le preghiere comuni a Gerusalemme, le parole di Benedetto XVI e di Francesco. Una nuova stagione che riconosceva negli ebrei i “fratelli maggiori”, radice viva della fede cristiana, come sostiene san Paolo. Sessant’anni dopo, quell’eredità rischia di essere tradita. L’antisemitismo è tornato a crescere in Europa e nel mondo, soprattutto dopo il 7 ottobre 2023. Non solo nelle piazze e sui social, ma anche dentro la Chiesa, dove riaffiorano ambiguità e silenzi selettivi. «Un antisemitismo che arriva da destra e da sinistra rivede nell’ebreo il capro espiatorio di qualsiasi misfatto», ha denunciato il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. «Determinati pregiudizi riaffiorano: l’ebreo vendicativo, l’ebreo che uccide i bambini. Fantasmi usciti fuori dopo il 7 ottobre».

In questo clima si inseriscono le ultime parole del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, che nell’intervista a L’Osservatore Romano del 6 ottobre ha messo sullo stesso piano «le violazioni del diritto umanitario da entrambe le parti». Un’equiparazione tra Hamas e l’azione dell’Idf che ha scatenato la reazione indignata dell’ambasciata israeliana presso la Santa Sede: «Si concentra sulla critica a Israele, trascurando il continuo rifiuto di Hamas di rilasciare ostaggi o di fermare la violenza. La cosa più preoccupante è l’uso problematico dell’equivalenza morale a cui non appartiene. Ad esempio, l’applicazione del termine “massacro” sia all’attacco genocida di Hamas del 7 ottobre sia al legittimo diritto di Israele all’autodifesa. Non c’è equivalenza morale tra uno Stato democratico che protegge i suoi cittadini e un’organizzazione terroristica intenzionata a ucciderli. Ci auguriamo che le dichiarazioni future riflettano questa importante distinzione». Parole ferme cui è seguita una dichiarazione di Papa Leone strappata da un giornalista a Castelgandolfo: «Preferisco non commentare, il cardinale ha espresso molto bene l’opinione della Santa Sede in questo senso». Un botta e risposta che segnala quanto fragile resti il dialogo, anche a sessant’anni da quella storica apertura conciliare.

L’arcivescovo di Chieti Bruno Forte, teologo sensibile su questo terreno, recentemente ha ricordato che «Israele e Chiesa non possono essere confusi: la teologia sostituzionista non è stata soltanto un errore, ma un tradimento del messaggio cristiano». Ma non tutti nel mondo cattolico sembrano pensarla così. Don Stefano Stimamiglio, direttore di Famiglia Cristiana, ha parlato nei suoi editoriali di «massacro sistematico di innocenti» a Gaza da parte del governo israeliano. Un giudizio mosso da sincera compassione, ma che rischia, in assenza di distinzioni, di alimentare vecchi fantasmi antigiudaici. Eppure, molti cattolici che credono nel dialogo sperano in Papa Leone XIV. Il 14 maggio 2025, all’indomani della sua elezione, in un messaggio rivolto al rabbino capo di Roma, ha detto che si impegna «a continuare e a rafforzare il dialogo e la cooperazione della Chiesa con il popolo ebraico nello spirito della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II». Non un semplice omaggio alla memoria, ma l’impegno a mantenere viva la fedeltà al Concilio, soprattutto dopo le parole di Papa Francesco che accusava Israele di genocidio. Un’accusa che ha raggelato i rapporti con gli ebrei, alimentando vecchi pregiudizi. Eppure il messaggio conciliare è chiaro: «La Chiesa deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo, in ogni tempo e da chiunque siano state commesse». Ma ora le nebbie dell’odio antiebraico avvolgono perfino gli alti prelati.

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