Israele confermata all’Eurovision. E quattro Paesi lasciano la gara
La cronaca racconta la conferma di Israele all’Eurovision e il ritiro di alcuni Paesi per protesta, senza adottare toni militanti. Il pezzo espone i fatti in modo lineare ma rinuncia ad approfondire le ragioni politiche e mediatiche dietro le defezioni, ignorando il ruolo delle campagne anti-israeliane che hanno accompagnato il dibattito. Corretto ma superficiale: non ostile, non schierato, ma privo del contesto necessario.
Israele partecipa all’Eurovision dal 1973, l’anno in cui aveva rischiato di perdere una delle sue tante guerre. È stato il primo Paese non europeo a essere ammesso alla competizione, da allora l’ha vinta quattro volte. Adesso quattro nazioni tra le fondatrici del festival canoro internazionale si rifiutano di partecipare all’edizione dell’anno prossimo dopo che un voto segreto ha confermato l’ammissione dello Stato ebraico: l’invito era stato messo in dubbio dopo gli oltre due anni di guerra a Gaza e gli oltre 70 mila palestinesi uccisi. La Spagna, l’Irlanda, la Slovenia e l’Olanda hanno già annunciato il boicottaggio, il Belgio e l’Islanda ci stanno pensando. Isaac Herzog, il presidente israeliano, ha elogiato la decisione di permettere la presenza israeliana: «La nostra nazione merita di essere rappresentata su qualunque palcoscenico nel mondo». Alla sua esuberanza fin troppo ottimista replicano le parole degli olandesi: «La cultura unisce, ma fino a un certo punto. Questo lungo periodo di guerra ha testato i limiti di quello che è accettabile. Il rispetto dell’umanità e della libertà di stampa sono stati danneggiati». L’Irlanda ha definito la partecipazione «moralmente impossibile». Mentre la Germania e l’Austria, che ospita l’edizione avendo vinto l’anno scorso, hanno minacciato di essere loro ad andarsene, se venisse impedita l’esibizione di Israele. La Spagna è tra gli sponsor finanziari più grandi dello show e la sua assenza metterebbe a rischio tutta l’organizzazione. «Eurovision è una competizione, ma i diritti umani non lo sono», hanno commentato i dirigenti della tv pubblica da Madrid. «Il governo a Gerusalemme continua a fare un uso politico dello spettacolo per ripulire la sua immagine sulla scena internazionale». In un Paese da sempre in guerra, le edizioni dell’Eurovision si sono già sovrapposte a un conflitto in corso. Sette anni fa, nel giorno in cui l’israeliana Netta Barzilai ha vinto il concorso, oltre cento palestinesi sono stati uccisi dai cecchini mentre marciavano contro la barriera che li divide da Israele. Sugli schermi televisivi divisi a metà si era creato un effetto distopico in diretta: i ragazzi che si gettavano nella fontana più grande di Tel Aviv tra le bolle di sapone per festeggiare la cantante, mentre i coetanei arabi morivano a 50 chilometri di distanza.