Altri raid in West Bank, l’Idf: “Ora siamo ovunque”

Un’operazione che nelle intenzioni dell’esercito israeliano segna uno spartiacque. Ieri mattina all’alba l’Idf ha lanciato una nuova, ampia, operazione militare antiterrorismo nel nord della Cisgiordania. Mentre è ancora in corso “Muro di ferro”, da febbraio, ieri è cominciata “Cinque pietre”: cinque sono i villaggi presi di mira intorno alla cittadina di Tubas, a nordest di Nablus. Usando ruspe, elicotteri e blindati, i soldati hanno fatto irruzione in numerose abitazioni, hanno imposto blocchi stradali e arrestato una sessantina di persone, principalmente giovani, lasciando dietro 10 feriti secondo fonti palestinesi. Tra i fermati ci sarebbe pure il sindaco di Tammun, Samir Basharat. Le scuole della zona sono rimaste chiuse, la Mezzaluna rossa ha seguito circa trenta persone costrette a lasciare le loro case. Hamas e la Jihad islamica hanno incitato alla rivolta contro quella che definiscono un’altra “gu e r ra ”. A Tubas l’Idf era già intervenuto a Tubas, nel campo profughi di Faraa a sud, a febbraio con “Muro di ferro”, poi ci era tornata a settembre con un raid mirato contro una cellula terroristica. Il comando israeliano ha spiegato ufficialmente di aver agito “a seguito di un’id e n ti fi ca z i on e preliminare da parte dell’intelligence di tentativi di stabilire roccaforti e di costruire infrastrutture L’ASSEDIO terroristiche nella zona” e che “l’esercito e 60 ARRESTI, lo Shin Bet non permetteranno al terrorismo di prendere piede nell’area e stanno DIECI FERITI, agendo in modo proattivo per contrastarE VAC UA Z I O N I lo”. Fin qui un racconto usuale, ma la novità è quello che l’Idf dice dietro le quinte, E DEMOLIZIONI in un contesto di cessate il fuoco e alta tensione a Ga2a, e ora pure in Libano. “LA REALTÀ è cambiata”, confidavano ieri fonti militari ai media israeliani. Dopo due anni di conflitto a Ga2a e di pressione militare e politica sulla West Bank, con i coloni sempre più violenti e in espansione, oggi l’esercito sente di avere mano libera: “Abbiamo portato i combattimenti fin dentro il campo profughi di Jenin”, roccaforte dei gruppi armati palestinesi della West Bank. “I nostri ora possono raggiungere ogni centimetro della Giudea e Samaria – ha detto un militare anonimo del Comando centrale dell’Idf a Yedioth Ahronoth ieri – Non accadeva in passato, anzi non accadeva dal 1967” (cioè dalla guerra dei sei giorni). Oggi, è la convinzione di Shin Bet ed esercito, la sproporzione di forze è tale (e la società della West Bank è stata talmente frammentata), che le operazioni non trovano più altra resistenza che quella dei gruppi armati presi di mira. I vertici di sicurezza israeliani si aspettavano di veder scoppiare un’altra intifada, dopo il conflitto a Ga2a e dopo la sequela di operazioni militari in Cisgiordania e l’espansione delle colonie illegali sostenuta dal governo di Benjamin Netanyahu. Non è successo. “Oggi è tutto più fluido, più facile e più veloce”. E questo, si dice, anche grazie alla copertura che Israele ritiene di avere dall’Autorità nazionale palestinese (che ha condotto a inizio anno alcune operazioni antiterrorismo in parallelo agli israeliani): se pubblicamente il governo Netanyahu osteggia l’Anp e ne chiede la scomparsa, un pezzo dell’establishment di sicurezza israeliano tende a preservarla nella sua debolezza attuale, come parte del mantenimento dello status quo.

Il grande archivio di Israele

Abbonamenti de Il Riformista

In partnership esclusiva tra il Riformista e JNS

ABBONATI