Bibi chiede una strana amnistia. I suoi coloni malmenano tre italiani

Una mossa impensabile in altre circostanze, ma attesa. Che forza le leggi di Israele, risulta di difficile lettura anche per i giuristi, e riduce tutto all’essenza di un esercizio potere che si considera superiore alle leggi. Benjamin Netanyahu ha chiesto formalmente di essere graziato al presidente israeliano Isaac Herzog, ieri. Sei anni dopo essere stato incriminato per frode, corruzione e abuso d’ufficio (per favori fatti a imprenditori della sua cerchia in cambio di regali) e dopo essersi trascinato per quattro anni un processo mentre rivestiva la carica di primo ministro in mezzo a pandemia, 7 ottobre 2023, guerre a tutto campo a Ga2a, Libano, Iran. Herzog si è visto recapitare ieri un vero e proprio dossier. 111 pagine in cui lo studio legale dell’avvocato del premier, Amit Haddad, illustrava i motivi per ritenere infondato il processo per corruzione e auspicabile “per il bene dello Stato” l’amnistia. Netanyahu s’è espresso in un video sui social. Non ha ammesso alcuna colpa e ha chiesto di essere sgravato dal fardello del processo per “concentrarsi d’ora in poi esclusivamente sulla gestione della guerra e contro il terrorismo da Ga2a” da premier. Impossibile non notare la tempistica: nelle ultime udienze del processo i giudici non sono rimasti convinti dagli argomenti della difesa del premier, e hanno contestato come inumana la richiesta dei giudici di tenere tre deposizioni a settimana per accelerare. È una strana richiesta di perdono, ma ci sono pochi dubbi sul fatto che il premier israeliano sia convinto, come ha già dimostrato, di piegare a suo favore le leggi e gli equilibri internazionali. Le norme fondamentali dello Stato di Israele (che si basa su un regime di rule of law all’anglosassone) stabiliscono in poche righe che il presidente della Repubblica ha facoltà di graziare un condannato. Netanayhu è ancora solo imputato, non è stato giudicato colpevole, e i giuristi israeliani hanno sempre considerato impossibile l’amnistia preventiva, come accade negli Usa. C’è però il precedente del caso del “bus 300”, quando nel 1984 l’allora presidente Chaim Herzog (padre dell’attuale), graziò due agenti dello Shin Bet che avevano ucciso due attentatori palestinesi mentre erano in custodia. Fu un unicum che causò uno scontro tra il premier Shimon Peres e il procuratore generale. Ma la grazia arrivò prima dell’inizio del processo, e dopo un’ammissione di colpa da parte degli agenti, che si dimisero dall’incarico. Tutto diverso da Netanyahu, che punta addirittura a correre alle prossime elezioni. I legali argomentano che è sufficiente essere “sospettati” per essere graziati, e che i poteri di grazia possono essere estesi. Forzature che non nascondono che la decisione è politica, di rapporti di forza. Il presidente ieri ha dichiarato che valuterà la richiesta sulla base del parere del ministero della Giustizia, ma in molti sono convinti che esista un accordo tra i due, perché altrimenti Netanyahu non si sarebbe mosso. In più, c’è il fattore Trump. Il presidente Usa ha chiesto pubblicamente la grazia per Netanyahu nella sua visita alla Knesset a ottobre e in una lettera a Herzog. Alla luce degli eventi, ora la grazia appare una sorta di “condizione ombra”del piano di pace per Ga2a: ne è convinto per esempio Eli Salzberger, ordinario di diritto all’Università di Haifa. L’iter decisionale richiederà due o tre mesi. E se è probabile che Herzog concederà la grazia, è sicuro che le opposizioni la impugneranno davanti alla Corte suprema. Ieri c’è stata una manifestazione sotto la residenza di Herzog, con lo slogan: “Repubblica delle banane”. I giudici supremi sono di orientamento conservatore (Netanyahu ha lasciato scadere il mandato di tre togati liberal senza sostituirli), “ma un approccio conservatore al diritto porterebbe a negare la grazia”, commenta Salzberger. “Di certo, se passasse, la grazia sarebbe un ulteriore attentato alla Rule of law. Ma forse è ciò che vuole Netanyahu”.

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