Così Israele espugna la Cisgiordania e commette crimini contro l’umanità
Il pezzo assume come verità assoluta le accuse di Human Rights Watch e costruisce un impianto narrativo interamente orientato a dipingere Israele come autore di crimini sistematici. Nessun contraddittorio, nessun dato di contesto, nessuna menzione delle responsabilità palestinesi o delle dinamiche di sicurezza. Esempio evidente di informazione polarizzata.
Tra gennaio e febbraio oltre 32 mila palestinesi sono stati sfollati con la forza dal governo israeliano. Vivevano in tre campi profughi in Cisgiordania. Ora quell’allontanamento sarà esaminato dalla Corte penale internazionale, che ha ricevuto un rapporto di Human Rights Watch secondo cui l’operazione «costituisce un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità». Il dossier di 105 pagine, intitolato “Tutti i miei sogni sono stati cancellati”, ricostruisce lo sfollamento forzato dei palestinesi in Cisgiordania a partire da “Muro di ferro”, il piano militare israeliano messo in atto nei campi profughi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams. Blindati dell’esercito e caterpillar erano stati inviati il 21 gennaio 2025, pochi giorni dopo l’annuncio di un cessate il fuoco temporaneo a Ga2a. «Le forze israeliane hanno ordinato bruscamente ai civili di lasciare le loro case, anche tramite altoparlanti montati su droni. Testimoni – si legge – hanno riferito che i soldati si sono mossi metodicamente attraverso i campi, irrompendo nelle case, saccheggiando le proprietà, interrogando i residenti e infine costringendo tutte le famiglie ad andarsene». E tutto questo «senza alcun riguardo per le tutele giuridiche internazionali, e non hanno permesso loro di tornare», ha dichiarato Nadia Hardman, ricercatrice senior sui diritti dei rifugiati e dei migranti presso Human Rights Watch. Alle 32.000 persone allontanate non è stato più permesso di tornare alle loro case, molte delle quali deliberatamente demolite dalle forze israeliane. Per l’organizzazione umanitaria mentre «l’attenzione mondiale era concentrata su Gaza, le forze israeliane hanno commesso crimini di guerra, crimini contro l’umanità e pulizia etnica in Cisgiordania, che dovrebbero essere oggetto di indagini e procedimenti giudiziari». Oltre ad avere intervistato i testimoni, sono state analizzate le immagini satellitari e gli ordini di demolizione dell’esercito israeliano. Sono state verificate anche le foto e i video, alcuni dei quali messi in circolazione dalle forze israeliane. Rispondendo alle richieste di chiarimenti, i funzionari israeliani hanno inviato una lettera a Human Rights Watch, sostenendo che l’operazione “Muro di ferro” è stata avviata «alla luce delle minacce alla sicurezza rappresentate da questi campi e dalla crescente presenza di elementi terroristici al loro interno». Tuttavia, secondo quanto rilevato da Human Rights Watch, le autorità israeliane non hanno compiuto alcun tentativo evidente di dimostrare che l’unica opzione praticabile per raggiungere il loro obiettivo militare fosse la completa espulsione della popolazione civile, né hanno spiegato perché abbiano vietato ai residenti di tornare. «Operazioni simili hanno avuto luogo nel campo profughi di Tulkarem il 27 gennaio e nel vicino campo di Nur Shams il 9 febbraio», precisa il dossier. Una donna di 54 anni ha raccontato che i soldati israeliani «urlavano e lanciavano oggetti ovunque. Era come una scena di un film: alcuni indossavano maschere e portavano con sé ogni tipo di arma. Uno dei soldati ha detto: “Non avete più una casa qui. Dovete andarvene». L’analisi delle immagini satellitari condotta ha rilevato che, sei mesi dopo, più di 850 case e altri edifici erano stati distrutti o gravemente danneggiati nei tre campi. Human Rights Watch chiede che vengano indagati esponenti politici e militari israeliani, tra cui l’allora capo di stato maggiore Herzi Halevi e il suo successore Eyal Zamir, oltre a Bezalel Smotrich, membro del gabinetto di sicurezza e ministro delle Finanze, il ministro della Difesa Israel Katz e il primo ministro Benjamin Netanyahu. Una valutazione preliminare delle immagini satellitari effettuata dal Centro satellitare delle Nazioni Unite nell’ottobre 2025 ha rilevato che, nei tre campi profughi, 1.460 edifici hanno subito danni di varia entità. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi (Unrwa) aveva istituito i tre campi all’inizio degli anni ‘50 per ospitare i palestinesi che erano stati espulsi dalle loro case o costretti a fuggire in seguito alla creazione di Israele nel 1948. Da allora quei profughi e i loro discendenti hanno continuato a risiedere lì. Fino al giorno in cui non è stato ordinato il nuovo allontanamento.