«È cristiano», «Ha l’amante», «È ricco» Così Hamas spiava i referenti delle ong
Il gruppo terrorista aveva report di intelligence sul personale di 48 organizzazioni attive a Gaza, 11 delle quali definite «cooperative» con il regime islamista della Striscia. «Lui è il proprietario di una Nissan». «Lei esce di casa indossando abiti succinti che violano la legge della sharia». «Lui è un cristiano». «Lei ha una personalità molto forte e non è suscettibile alle pressioni e alle estorsioni». Scorrere le 53 pagine del rapporto dell’Institute for Ngo Research sulle relazioni fra Hamas e la galassia delle organizzazioni non governative impegnate a sostenere Gaza i suoi abitanti è come guardare un film sullo spionaggio durante la Guerra Fredda. Una pellicola in cui nel ruolo del Kgb o della Stasi di turno ci sono i prodi “guerriglieri” del sedicente Movimento islamico di resistenza: non solo tagliagole, dunque, ma anche attenti osservatori e, all’occasione, sfruttatori di una ridda di cooperanti internazionali più o meno consapevoli di aiutare un gruppo terrorista messo all’indice da un gran numero di cancellerie globali. Ieri su questo giornale il vicedirettore Fausto Carioti ha raccontato di come Hamas abbia spiato e cercato di infiltrare alcune ong italiane. Oggi allarghiamo lo sguardo, perché le ong in questione sono 48, di cui 11 definite «cooperative» da Hamas. Prendiamo Oxfam, per esempio. La sigla britannica è abbastanza conosciuta non fosse altro per la capillare presenza degli Oxfam Shop nelle città inglesi, scozzesi e del Galles. Qua si entra per donare un articolo per la casa, un vestito, un libro oppure per acquistare un oggetto di seconda mano: Oxfam raccoglierà i fondi per combattere la povertà e la fame nel mondo. Ebbene, un promemoria del MoINS (il ministero degli Interni di Hamas) del 15 giugno 2020 suonava l’allarme rilevando che il «responsabile dei media e delle pubbliche relazioni di Oxfam è di origini ebraiche». Circostanza catalogata come «elemento di minaccia e insicurezze» da parte della ong. ALL’OMBRA DEGLI ALBERI Ma in fin dei conti forse Oxfam non è così male visto che, riferiva ieri Euractiv, in un altro documento del 2021 Hamas osserva come la sigla britannica abbia collaborato con un gruppo locale legato ad Hamas per attuare un progetto di irrigazione per gli alberi da frutto. E il gruppo terroristico afferma che il progetto avrebbe aiutato gli obiettivi militari perché gli alberi da frutto «sono una copertura per le attività di resistenza nelle aree di confine». Meglio in ogni modo gli amici del Norwegian Refugee Council (Nrc): tra gli omissis, si legge il profilo del direttore amministrativo della ong norvegese: «È dipendente del governo di Ga2a con il grado di Nagib (…) circa otto anni fa si è recato nel Regno Unito per conseguire un master in Scienze Umane. Sostiene il movimento di Hamas a livello ideologico, ma non ne è formalmente affiliato. (…) Non risultano osservazioni morali o di sicurezza a suo carico. È devoto alla preghiera e viaggia spesso all’estero, passando molte volte attraverso il valico di Rafah. Nel 2018 ha ricevuto un trasferimento di 936 dollari da suo fratello». Resta solo da decidere se colpiscano di più i dettagli della vita di questa persona messi nero su bianco o se sia preoccupante che ong il cui scopo dovrebbe essere il miglioramento della vita dei ga2awi siano infiltrate da chi – e gli ultimi 21 anni di autogoverno dei jihadisti lo dimostrano – del destino dei ga2awi non si è mai occupato se non per farne carne da macello, “martiri” del jihadismo o scudi umani. Nella lista dei cattivi Hamas mette guarda caso gli americani di Anera il cui direttore «odia Hamas, va a correre ogni giorno sulla spiaggia di Al-Sudaniya, ha una Hyundai nera» e, sebbene tutti i suoi figli recitino il Corano in moschea, «è legato a Fatah», il partito palestinese laico, arcinemico di Hamas.