Hezbollah non può rifiatare in Libano. Ogni nuovo comandante sarà ucciso
Israele ha il diritto di fare prevenzione per impedire che i terroristi sciiti si riarmino. Israele ha colpito nel cuore del quartiere di Dahiyeh, nella periferia sud di Beirut, una delle roccaforti storiche di Hezbollah. Il raid, avvenuto nel pomeriggio di domenica 23 novembre, ha preso di mira l’edificio identificato come “safe house” di Haytham ‘Ali Tabatabai, considerato il numero due del movimento sciita. L’operazione – condotta con un attacco aereo di precisione sull’esatto piano dell’abitazione – è la prima a Beirut da mesi e rappresenta una delle azioni più mirate dall’inizio della tregua del novembre 2024. La conferma della morte di Tabatabai è arrivata in serata da fonti israeliane e, poco dopo, anche da Hezbollah. Si tratta di uno dei colpi più duri inferti all’organizzazione dopo la lunga serie di eliminazioni che, tra il 2024 e il 2025, ha decapitato gran parte della leadership militare di Hezbollah. Tabatabai, ricercato dagli Stati Uniti con una taglia di cinque milioni di dollari, era stato designato “terrorista internazionale” già nel 2016. In base al cessate il fuoco mediato da Washington e Parigi nel 2024, Hezbollah aveva accettato – almeno sul piano formale – la graduale smobilitazione delle sue milizie nel sud del Libano e la consegna degli armamenti pesanti all’esercito libanese (LAF), in linea con la Risoluzione Onu 1701. La realtà sul terreno, tuttavia, smentisce puntualmente le dichiarazioni ufficiali. Secondo i rapporti dell’intelligence israeliana e di diversi osservatori internazionali, Hezbollah ha continuato a riorganizzare le sue unità operative, ricostruire depositi e infrastrutture logistiche, reintrodurre forze speciali e vettori d’attacco nascosti lungo la linea di interdizione, riallestire la catena di comando dopo ciascuna eliminazione mirata. Il raid su Tabatabai va letto dentro questo quadro. La strategia israeliana, ormai esplicita, è impedire che Hezbollah possa ricostruire un comando stabile dopo ogni perdita. Il messaggio è forte e chiaro: “Ogni nuovo comandante è un comandante morto”. È una linea che Israele ha adottato con crescente coerenza: impedire all’organizzazione di rifiatare, rendere temporanei e instabili tutti i vertici militari e mantenere Hezbollah in una condizione di precarietà permanente. Le fonti israeliane sostengono che l’operazione, denominata “Black Friday”, sia stata coordinata con gli Stati Uniti e pienamente conforme ai termini della tregua, poiché Tabatabai “continuava a dirigere attività terroristiche”. Gli Usa hanno interesse a evitare una nuova guerra totale nel nord di Israele e, quindi, ad accelerare la dismissione dell’apparato militare di Hezbollah. L’accordo del 2024 prevedeva un ruolo determinante per l’esercito libanese: ristabilire il controllo sul sud, rimuovere le forze non statali, garantire che Hezbollah arretrasse oltre il fiume Litani e si disarmasse. Il risultato, finora, è stato insufficiente. Non per cattiva volontà – il Libano resta uno Stato fragile, con istituzioni indebolite, un’economia in crisi e un governo costantemente ostaggio di equilibri confessionali precari. Disarmare Hezbollah equivarrebbe, per molti analisti, a innescare una guerra civile. E così, Gerusalemme sostiene che, se il Libano non è in grado di far rispettare gli accordi, allora Israele ha il diritto di agire preventivamente per impedire il riarmo del gruppo sciita e scongiurare una futura ripresa delle ostilità. È una posizione dura, ma coerente con la percezione israeliana della minaccia: un Hezbollah indebolito, con limitato accesso alle armi e con i vertici militari costantemente nel mirino, non può produrre una risposta offensiva adeguata. Il raid di Beirut non è solo un evento militare: è l’ennesimo indicatore della crisi strutturale del Libano. Nonostante segnali di maggiore assertività da parte del governo libanese e del suo esercito, il Paese rimane – nella sostanza – ostaggio di Hezbollah, della sua forza armata parallela e della sua capacità di influenza interna. Israele ha colto il momento per ribadire una dottrina ormai stabilita: nessun comandante, nessuna infrastruttura, nessuna catena di comando di Hezbollah è destinata a durare. E finché il Libano non sarà in grado di esercitare pienamente la sua sovranità, le operazioni mirate israeliane continueranno a rappresentare la principale modalità di contenimento del gruppo.