Hezbollah sfrutta la quiete per riorganizzarsi. Il prossimo bersaglio dell’Idf sarà Qassem?

C hi immagina Hezbollah pronto a sventolare bandiera bianca dopo l’eliminazione del suo capo di stato maggiore, Haytham Ali Tabatabai, non conosce davvero l’organizzazione. Il desiderio di vendetta c’è, eccome. Ma il bisogno di quiete – un elemento strategico centrale, quasi dottrinale – è oggi più forte. Ed è esattamente questo bisogno a guidare le sue scelte, molto più della retorica incendiaria che arriva dai suoi portavoce. Ufficialmente, la guerra in Libano è finita da un anno. In pratica, non si è fermata nemmeno per un giorno. Non solo perché l’Idf mantiene ancora il controllo di cinque “tasche” di territorio, ma perché l’attività militare israeliana nel sud del Libano è stata pressoché quotidiana. Il cessate il fuoco è diventato un congelamento, non una soluzione: un dopoguerra solo sulla carta, mentre sul terreno la guerra continua con forme diverse. Hezbollah non ha mai agito “di pancia”. Possiede una cultura strategica che unisce pragmatismo militare, ideologia religiosa e soprattutto una concezione quasi fatalista del tempo. Esiste un proverbio arabo che sintetizza bene questa filosofia: “La pazienza è la chiave della vittoria”. È un approccio simile alla strategia cinese del logoramento lento. Una hudna – una tregua temporanea – non è resa, ma un modo per rimandare la battaglia vera a un momento più favorevole. Hezbollah lo ha sempre fatto: accetta compromessi, anche dolorosi, quando servono a preparare il terreno a uno scontro più grande. È la ragione per cui l’organizzazione ha assorbito, senza reagire, l’eliminazione di centinaia di quadri e comandanti, la distruzione delle sue linee di comando, la perdita dell’intera leadership militare e politica, incluso il leader supremo Hassan Nasrallah. E anche l’eliminazione del suo “capo di stato maggiore” ad interim di qualche giorno fa è stata, per ora, incassata senza ritorsioni. La volontà di colpire Israele esiste, ma la necessità di tempo per ricostruirsi è più forte. A guidare questa linea prudente è Naim Qassem, l’attuale segretario generale sostenuto direttamente dall’Iran. Figura considerata “grigia” e poco carismatica, negli ultimi mesi si è rivelato sorprendentemente efficace nel tenere insieme un’organizzazione decimata ma non schiacciata.Qassem opera tra Beirut e Teheran, coordinando la priorità numero uno del movimento: ricostruire le sue capacità belliche. Ed è qui che entra in scena Israele. Gerusalemme non ha intenzione di consentire alcuna ricostruzione. La nuova dottrina è chiara: Hezbollah deve essere reso incapace di reagire. Ed è una dottrina applicata con coerenza matematica. Negli ultimi 12 mesi, dall’inizio della tregua, secondo i dati militari, sono stati condotti 669 raid aerei in territorio libanese, 350 eliminazioni mirate, ed Hezbollah ha dovuto spostare la propria infrastruttura dal cuore storico del sud (unità Nizar e Aziz) più a nord, nell’area dell’unità Badr. Uno dei due fattori che oggi permettono a Israele di mantenere questa pressione altissima è il sostegno politico e operativo degli Stati Uniti. Non solo nel campo diplomatico, ma anche in quello operativo: la recentissima eliminazione di Tabatabai è stata coordinata con Washington. Il secondo fattore – e l’incognita più grande – riguarda l’esercito libanese (LAF). Teoricamente, secondo la Risoluzione Onu 1701, dovrebbe disarmare Hezbollah, controllare il sud del Paese e impedire qualsiasi presenza militare non statale vicino al confine. Ma il Libano resta uno Stato debole, infiltrato politicamente e militarmente da Hezbollah. Nonostante i notevoli sforzi messi in atto dal governo, i suoi apparati di sicurezza sono ostacolati da divisioni settarie, e una parte rilevante della catena di comando è sotto l’influenza diretta o indiretta del movimento sciita. Eppure, nella società libanese – soprattutto tra i cristiani, i sunniti, i drusi, e gli sciiti non ideologizzati e legati ai centri urbani – cresce la volontà di liberarsi dall’ingombro soffocante della “milizia-Stato”. Un desiderio reale, ma molto difficile da tradurre in pratica. La logica della dottrina israeliana rende un’ipotesi quasi inevitabile: il prossimo bersaglio sarà Naim Qassem, il vero cervello operativo del movimento oggi. È l’ultimo leader rimasto con autorità politica e religiosa. E anche se si nasconde negli angoli più protetti del sud di Beirut, la storia recente insegna che nessun rifugio è davvero sicuro. Finché il Libano non sarà in grado di esercitare davvero la propria sovranità, resterà schiacciato tra l’incudine e il martello. E finché Hezbollah consumerà il proprio tempo nella logica della hudna, la guerra non sarà mai davvero finita.

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