Il “che fare” degli ebrei italiani di fronte alla destra
A Firenze, nella sinagoga, domenica si è tenuto un positivo dialogo tra le anime diasporiche dell’ebraismo progressista italiano. L’incontro è stato preceduto da un evento simile a giugno. Un centinaio di persone, tra singoli e rappresentanti di varie realtà, si è riunito per discutere l’annosa questione del che fare, a fronte di un ebraismo istituzionale sempre più schiacciato sulla destra italiana e israeliana. C’erano rabbini progressisti, già impegnati in «Rabbini per i diritti umani» o in collegamento da Israele e attivi nella lotta al “terrorismo ebraico” nei territori occupati, consiglieri di centro-sinistra dell’Unione delle comunità ebraiche, intellettuali e attivisti del Laboratorio Ebraico Antirazzista, di Mai Indifferenti e della Sinistra di Fede. Il nemico è comune (la destra ebraica italiana, i postfascisti qui e in Israele), le strategie per opporsi meno. Alcuni interventi hanno sottolineato l’importanza della dimensione diasporica e del Bund socialista di inizio Novecento, altri lo stato di crisi dell’ebraismo dopo Gaza. Alcuni hanno denunciato l’orrore di far parlare un soldato responsabile di crimini di guerra in una scuola ebraica, altri la distanza tra le idee dei giovani e il conservatorismo delle istituzioni ebraiche. Durante l’incontro sono state denunciate anche le idealizzazioni di Israele prima del 7 ottobre: uno stato di apartheid che discrimina i palestinesi sin dalla sua nascita. Come si è sottolineata l’incapacità di parte della sinistra ebraica di criticare gli orrori genocidari di esercito e governo israeliani. La tradizione ebraica umanistica, evocata in diversi interventi, è stata anche ma non necessariamente sionista: l’opposizione al concentramento della molteplicità ebraica in uno stato è stata diffusa, tanto in ambito religioso quanto socialista. Non c’è bisogno di ricorrere all’abusata formula dell’«odio di se stessi» per trovare nella storia ebrei contro Israele. L’eterogeneità raccolta a Firenze è ampia, da esponenti ebrei della Freedom Flotilla a consiglieri vicini a Sinistra per Israele. Le cose in comune sono poche, quel che bisognerebbe fare. Purtroppo, in Italia gli ebrei sono 35mila, numero ben inferiore ai sette milioni statunitensi che esprimono associazioni come Jewish Voice for Peace o Jews for Racial Equality – che hanno sostenuto Zohran Mamdani. Ga2a è forse il nuovo Vietnam, una strage periodizzante, in un mondo multipolare di opposti imperialismi e di asimmetriche “barbarie” (Gilbert Achcar). Prima che gli ebrei diventino un nemico razziale, in una nuova edizione dello “scontro di civiltà” dove l’unica lingua sia quella della violenza, è importante secedere, spezzare l’identificazione tra diaspora e Israele. Litigare e riconciliarsi affinché la pluralità di opinioni tra ebrei abbia diritto di esistere e non figuri come un’eresia. E serve fare pulizia e smetterla con il motto «i panni sporchi si lavano in famiglia»: i fascisti nell’ebraismo italiano non vanno più tollerati. Gli ebrei democratici, se possono unirsi, devono farlo contro l’autoritarismo che serpeggia tra le proprie fila.