Il Papa: Israele non accetta due Stati ma è l’unica soluzione al conflitto

È calato il buio e piove a dirotto quando il volo di Leone XIV, da Istanbul, atterra a Beirut. Non è un bel momento, il Papa rimarrà fino a domani nella città che ancora pochi giorni fa, il 23 novembre, ha subìto l’ultimo raid israeliano, un attacco missilistico aereo che ha ucciso il capo militare di Hezbollah Ali Tabatabai nel sobborgo di Dahiyeh, una roccaforte sciita a sud della capitale, poco distante dall’aeroporto. Il senso della seconda tappa del viaggio è tutto nella riposta che Prevost, raggiunti i giornalisti in aereo, ha dato a chi gli chiedeva se avesse parlato con Erdogan di Gaza e dell’Ucraina: «Certamente, abbiamo parlato di tutte e due le situazioni. La Santa Sede, già da diversi anni, appoggia pubblicamente la proposta della soluzione di due Stati. Sappiamo tutti che in questo momento Israele non accetta ancora quella soluzione, ma la vediamo come l’unica al conflitto che continuamente vivono. Noi siamo anche amici di Israele, e cerchiamo di essere con le due parti una voce, diciamo, mediatrice che possa aiutare ad avvicinarci ad una soluzione con giustizia per tutti». Pontefice, del resto, significa «costruttore di ponti» e Leone interpreta il suo ministero alla lettera. Di qui il dialogo con Erdogan che «certamente è d’accordo» sui due Stati, e le considerazioni sul «ruolo importante» che la Turchia e il suo presidente potrebbero avere anche sulla guerra in Ucraina: «Già qualche mese fa, ha aiutato molto a convocare le due parti. Ancora non abbiamo visto una soluzione, purtroppo, però oggi di nuovo ci sono delle proposte concrete per la pace, e speriamo che Erdogan, con il suo rapporto con i presidenti di Ucraina, Russia e Stati Uniti, possa aiutare in questo senso a promuovere un dialogo, il cessate il fuoco, e vedere come risolvere questa guerra». L’ultimo appuntamento del Papa in Turchia è stata la «liturgia divina» celebrata con il patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo I. E l’invito a «essere costruttori di pace in questo tempo di sanguinosi conflitti e violenze in luoghi vicini e lontani» suonava come una premessa al Libano. Nel palazzo presidenziale, sulla collina di Baabda, Prevost è stato ricevuto dal presidente libanese Joseph Aoun: «Santo Padre, la imploriamo di dire al mondo che non moriremo, né ce ne andremo, né ci dispereremo, né ci arrenderemo». Rivolto alle autorità, il Papa si è soffermato sulla «resilienza» dei libanesi, perché chi opera per la pace deve saper «ricominciare» ogni volta: «Quasi in tutto il mondo sembra avere vinto una sorta di pessimismo e sentimento di impotenza. Le grandi decisioni sembrano essere prese da pochi, spesso a scapito del bene comune, e ciò appare a molti come un destino ineluttabile». Ma non basta che tacciano le armi, c’è la «via ardua della riconciliazione» da percorrere: «Se non si lavora a una guarigione della memoria, a un avvicinamento tra chi ha subito torti e ingiustizie, difficilmente si va verso la pace. Ognuno resta prigioniero del suo dolore».

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