Israele lancia una nuova vasta operazione in Cisgiordania
È ancora notte quando le truppe israeliane prendono d’assalto la città di Tubas e i villaggi di Tamun e Aqaba, nel nord della Cisgiordania. Diverse fonti raccontano di elicotteri in volo, buldozer in azione, soldati che fanno irruzione nelle abitazioni vandalizzandole, strade chiuse per istituire posti di blocco. L’intervento, annunciato ieri mattina dall’Idf e lo Shin Bet, è stato presentato da Israele come una nuova operazione antiterrorismo in larga scala in Cisgiordania. «Non ci sarà alcun porto sicuro per i terroristi in Giudea e Samaria» ha affermato il portavoce del governo israeliano Shosh Bedrosian. Si tratta della più grande operazione dall’ultima tregua, scrive The Guardian, che racconta l’ingresso a Tubas di centinaia di soldati israeliani accompagnati da veicoli blindati. Secondo Reuters i soldati hanno circondato la città, occupato i tetti e intimato ai residenti di abbandonare le case con divieto di rientro fino alla fine dell’operazione. Almeno sessanta palestinesi sono stati arrestati e 10 feriti, di cui sei trasferiti in ospedale, secondo fonti mediche «in seguito al pestaggio di soldati israeliani». Non è la prima volta che Tubas viene attaccata dall’esercito israeliano. Come testimoniato dall’agenzia Wafa, gli episodi sono stati diversi: a ottobre la strada principale della città era stata bloccata dai bulldozer, l’ingresso meridionale chiuso mentre pattuglie e cecchini ispezionavano le case di interi quartieri, il 2 novembre invece c’era stato un raid con aerei di ricognizione e ingresso di truppe di fanteria. Il sindaco di Tubas, Mahmoud Daraghmah, citato da Times of Israel, ha dichiarato che «in mattinata gli elicotteri Apache hanno sparato contro la popolazione» e che tra gli arrestati c’è anche il sindaco di Tammun, Samir Basharat. Nella zona le autorità locali hanno chiuso le scuole pubbliche e gli asili nido per motivi di sicurezza. A fine giornata l’esercito israeliano ha giustificato l’operazione come la conseguenza di una indagine preliminare dell’intelligence che ha intercettato tentativi di stabilire roccaforti e di costruire infrastrutture terroristiche nella zona. Ma nei territori la vita dei palestinesi è molto difficile anche a causa degli attacchi dei coloni israeliani, definiti «terroristi» dall’ambasciatore americano in Israele, Mike Huckabee. Dichiarazione smentita ieri dal ministro della Difesa israeliano Israel Katz che in una riunione a porte chiuse della Knesset ha affermato che non si tratta di «terrorismo» ma semplicemente di «un disturbo dell’ordine pubblico». Il ministro, che si era opposto alla detenzione amministrativa dei coloni violenti, ha insistito davanti alla commissione Affari esteri e Difesa, sulla differenza tra «disturbo alla sicurezza» e «disturbo pubblico», attribuendo gli attacchi degli israeliani di Cisgiordania a quest’ultimo. Restano tesi i rapporti tra il ministro e il capo di stato maggiore dell’Idf Eyal Zamir a causa delle indagini militari sul 7 ottobre. Ieri Benjamin Netanyahu ha convocato entrambi a una riunione sulla sicurezza. «Israele ha bisogno di una leadership coraggiosa e trasformativa» ha affermato Zamir durante la celebrazione sull’anniversario della morte di Ben Gurion, facendo trasparire una critica velata al governo. Nonostante la tregua si muore ancora a Gaza. Ieri un raid dell’Idf avrebbe ucciso un palestinese e ferito un altro a Khan Younis, mentre un attacco a nord della Striscia avrebbe provocato due morti. Continua intanto la ricerca dei miliziani di Hamas che sarebbero nascosti nei tunnel nella zona di Rafah. Ieri l’Idf ha dichiarato di averne intercettati sei che erano venuti allo scoperto, di cui quattro uccisi e due arrestati. Dopo l’identificazione dei resti dell’ostaggio israeliano consegnato martedì da Hamas, Israele ha restituito a Gaza i corpi di 15 palestinesi. Se da un lato l’organizzazione islamista controlla completamente la parte di Gaza non occupata da Israele, dall’altro una fonte anonima di Hamas avrebbe dichiarato al quotidiano saudita Asharq Al-Avasat che il gruppo armato sta prendendo in considerazione l’idea di rinunciare alle armi e trasformarsi in un partito politico. Resta molto caldo anche il fronte libanese. Ieri il ministro Katz ha dichiarato alla Knesset di non credere possibile che Hezbollah si disarmi volontariamente e ha affermato che se non succederà entro la fine dell’anno Israele è pronta a intervenire con la forza in Libano.