Israele torna a colpire Beirut. Ucciso il numero due di Hezbollah

L’articolo riporta il raid aereo israeliano su Beirut che ha ucciso Haytham Ali Tabatabai, descritto come il “secondo leader di Hezbollah” dopo Naim Qassem. Nonostante il tono generale di preoccupazione per l’escalation, l’articolo offre elementi di contesto cruciali per comprendere l’azione israeliana. Si specifica che Tabatabai era un “target di alto livello” , con una taglia USA di 5 milioni di dollari , e che era il Comandante della Radwan, la forza d’élite incaricata di “invadere Israele”. Era inoltre l’architetto del nuovo assetto militare di Hezbollah. Viene riportata la dichiarazione del Ministro della Difesa Israel Katz: “Chiunque alzi una mano contro Israele, quella mano verrà tagliata”, che chiarisce l’obiettivo di deterrenza e difesa strategica. L’articolo, pur inserendo l’attacco in un quadro di “tregua sempre più fragile” e “escalation”, non nasconde la natura militare e la minaccia diretta rappresentata dalla vittima, offrendo la base per un’analisi che vada oltre la mera condanna.

Trema di nuovo Beirut. A pochi giorni dall’inizio del primo viaggio all’estero di papa Leone XIV in Turchia e Libano e mentre sono ripresi i negoziati al Cairo per la fase due del piano Trump a Ga2a, l’Idf sgancia di nuovo sei missili su un palazzo della Dahiyeh, la roccaforte sciita. E annuncia di aver ucciso un target di alto livello: Haytham Ali Tabatabai, considerato il secondo leader di Hezbollah, dopo il segretario generale Naim Qassem succeduto ad Hassan Nasrallah. «Un assassino con le mani sporche del sangue di israeliani e americani», lo ha definito il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Sangue che chiama sangue, generazione dopo generazione mentre il cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah di un anno fa sembra un lontano ricordo. Tabatabai nasce nel 1968 da madre libanese meridionale e padre iraniano, entra giovane nelle fila del Partito di Dio finendo nel 2016 nella top list dei cattivi con una taglia da 5 milioni di dollari. Comandante della Radwan, la forza d’élite incaricata di invadere Israele. Ma anche capo delle forze speciali di Hezbollah in Siria e Yemen, nel 2015 Israele prova a ucciderlo in un attacco in cui perde la vita Jihad Mughniyeh, figlio di Imad Mughniyeh, alto comandante di Hezbollah eliminato a Damasco nel 2008. Tabatabai viene promosso al vertice alla fine del 2024, dopo che i raid israeliani decapitano la testa militare e politica del Partito di Dio, e diventa architetto del nuovo assetto militare di Hezbollah. «Chiunque alzi una mano contro Israele, quella mano verrà tagliata», tuona da Gerusalemme il ministro della Difesa israeliano Israel Katz. E se l’attacco a Beirut ha fatto almeno 5 morti e oltre una ventina di feriti — era da luglio che la capitale libanese non veniva colpita — è di nuovo escalation. «Israele non ha informato gli Stati Uniti in anticipo», spiega un funzionario statunitense citato dal giornalista israeliano Barak Ravid. A Washington «sapevano da diversi giorni che Israele stava pianificando un’escalation in Libano, ma non conoscevano i tempi, il luogo o l’obiettivo di questi attacchi», aggiunge un altro funzionario. Il presidente libanese Aoun condanna l’attacco come prova del fatto che Israele ignora gli appelli a porre fine all’aggressione, a rispettare le risol u z i o n i i n te r n a z i o n a l e , Hezbollah risponde che «è stata superata una nuova linea rossa», mentre Teheran parla di raid «codardo». E se cresce la paura sul lato israeliano del confine per il timore di una rappresaglia, Netanyahu resta a livello politico sotto il fuoco incrociato dell’estrema destra e dell’opposizione israeliana che lo accusano di aver abdicato a Washington nella gestione della sicurezza. Un quadro che ha visto l’Idf bombardare costantemente i villaggi sul confine, sparare contro i caschi blu di Unifil in quello che ha definito un «errore causato dal maltempo» e colpire un campo palestinese vicino a Sidone affermando di aver eliminato un capo di Hamas, il tutto mentre non si fermano certo i raid nella Striscia. Da Beirut a Ga2a passando per il Cairo dove ieri Hamas ha inviato una nuova delegazione guidata da Khalil alHayya per incontrare i mediatori dopo l’escalation degli ultimi giorni. Tanti i nodi da sciogliere ancora per l’avvio della fase 2 del piano Trump. Israele, nell’attesa degli ultimi tre corpi degli ostaggi, insiste sulla smilitarizzazione dell’enclave. Poi la presenza nei tunnel ancora di almeno 80 miliziani asserragliati e il loro destino futuro con la possibilità di un salvacondotto sebbene non sia ancora chiaro né quanti siano, né se abbiano contatti con l’esterno e ricevano ordini e cibo. Secondo l’ufficio di Netanyahu, negli attacchi di sabato sono rimasti uccisi cinque alti funzionari di Hamas. Ieri Idf e Shin Bet hanno confermato che tra le vittime del raid a Ga2a City c’era Alaa Hadidi, responsabile dei rifornimenti presso il quartier generale di produzione di armi di Hamas. Ma in totale, secondo l’agenzia di difesa civile gestita da Hamas, sono state uccise 21 persone. Altre vittime di una «pace» che sembra sempre più fragile.

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