La furia Pro-Pal contro i suoi ignari cantori

Non se ne capacitano. Non capiscono. Si stupiscono. Si sentono traditi. La domanda che affligge il mondo progressista da qualche giorno scava nel profondo delle contraddizioni della stampa con la kefiah: «Perché Askatasuna ha devastato proprio la redazione della Stampa?». Non se ne fanno una ragione. Annalisa Cuzzocrea, ora vicedirettore a Repubblica dopo quattro anni nel quotidiano torinese, domenica sera nel salotto televisivo di Fazio era sbalordita: «Io e Andrea Malaguti (l’attuale direttore, ndr) abbiamo fatto la prima pagina su La Stampa con scritto “genocidio”, senza preoccuparci di come avrebbe reagito una parte di opinione pubblica. Questa è la cosa che mi ferisce di più, perché non sanno cosa hanno aggredito». La sinistra nel paese delle meraviglie: è stato proprio il fronte progressista, compreso il sindaco Pd di Torino Stefano Lo Russo, a dare legittimazione al centro sociale Askatasuna; a lodare il patto per il «bene comune» che prevede addirittura la regolarizzazione del gruppo violento di estrema sinistra; a sottovalutare, se non minimizzare, le piazze violente dei pro-Pal che grondavano antisemitismo (dai cartelli agli slogan fino alle bottigliate alla polizia). Ma davanti a un continuo sfregio della legalità, perché pensare che i delinquenti potessero risparmiare la redazione del principale quotidiano con sede in città? Non sono bastate le inchieste, le auto della polizia accerchiata, la saldatura con le frange eversive No Tav? Non pare una questione di ignoranza, né di scarsa riflessione sull’ultimo editoriale geopolitico dei commentatori de La Stampa. Al contrario, lo stupore sembra figlio di una certa sudditanza psicologica nei confronti di certe schegge movimentiste, prima affiancati nella causa comune contro il governo israeliano di Bibi Netanyahu. Peraltro, ieri è arrivata la rivendicazione del Cua, il gruppo universitario vicino ad Askatasuna: «Era un’azione dimostrativa», il giornale era un bersaglio perché «la stampa italiana ci ha abituato al sensazionalismo» mentre i politici si destra e sinistra sono ritenuti «ugualmente corrotti». Che ingrati. Il brodo di coltura progressista li ha coccolati per anni, e adesso diventa un obiettivo della violenza più cieca e vergognosa. Anche Massimo Gramellini, dalla prima pagina del Corriere della Sera, si è distinto per incredulità e sbigottimento: «Ma come?», ha scritto ieri la firma di punta di via Solferino, «per punire la stampa filosionista colpiscono proprio la Stampa, che ha ospitato decine di reportage sull’eccidio di bambini di Ga2a?». Alla fine della fiera, conclude Gramellini, è colpa dei libri e delle pagine di giornale che i delinquenti non hanno letto. Chiusa lapidaria: «Forse considerano la lettura un’attività controrivoluzionaria». Eppure, di culturale, in questa vicenda ci vediamo solo la subalternità della sinistra politica e dei commentatori à la page. A forza di strizzare l’occhio alle frange antagoniste, parafrasando Nenni, c’è sempre un pro-Pal più pro-Pal che ti epura. O, storpiando il mitico George Orwell, tutti i pro-Pal sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri. L’attentato comunista alla Stampa comunista eh, basta con questo luogo comune del “fascismo degli antifascisti” – è stato compiuto da criminali, molti dei quali appartenenti a un centro sociale protagonista di estorsioni, violenze, assalti e chi più ne ha più ne metta. Non è questione di libri letti o non letti. L’azione contro la Stampa è stata brutale, ma nei mesi scorsi anche Libero è stato preso di mira da qualche groppuscolo pro-Pal, protagonista di un presidio davanti alla nostra redazione. Da quel giorno qui sotto è tornato anche il presidio fisso dei militari. Un’intimidazione per fortuna senza irruzione. Libero non ha mai parlato di genocidio a Ga2a: sicuramente nessuno a sinistra pensa che, non avendo noi sposato le posizioni dei pro-Pal, un
attacco contro il nostro giornale sarebbe «comprensibile».

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