La ricostruzione. Gli Usa vogliono partire da Rafah
Pezzo interessante ma incompleto. Antoniucci mostra come Washington voglia avviare la ricostruzione partendo da Rafah, creando un “modello” di futura amministrazione, ma presenta il piano in modo parziale e poco contestualizzato. Le cifre sulle vittime e le presunte violazioni del cessate il fuoco sono riportate senza contrappunto, mentre il ruolo dell’IDF e i vincoli di sicurezza restano sullo sfondo. Il risultato è un quadro sbilanciato, che suggerisce un disegno israelo-americano unilaterale senza spiegarne davvero le ragioni operative.
La fase due in discussione oggi a Genova. Si guarda verso Rafah. È da lì che gli americani vogliono cominciare a ricostruire, è lì che l’esercito israeliano non ha smesso di portare operazioni militari anche dopo la firma del cessate il fuoco con Hamas, l’11 ottobre scorso. La città all’estremo sud della Striscia, la seconda per dimensioni e contigua al valico con l’Egitto ora sbarrato, è stata occupata a maggio 2024, svuotata e rasa al suolo in un’ostinata ricerca, da parte delle forze israeliane, di bonificarla da tunnel e infrastrutture terroristiche. OGGI RAFAH è “zona verde”, cioè cade al di qua della linea gialla che divide Ga2a a metà a partire dai bordi, e ricade totalmente sotto la zona amministrata da Israele, e svuotata dagli abitanti palestinesi. Ma Rafah è anche zona militare attiva, perché lì sono asserragliati gli ultimi miliziani (sparuti, sembra una ventina) di una brigata irriducibile di Hamas locale. L’Idf comunica quasi quotidianamente ai media israeliani i risultati delle sue attività contro questo gruppo, mentre non parla delle demolizioni e delle operazioni di costruzione che sta portando avanti nella zona. La settimana scorsa ha ucciso 11 “terroristi” e catturati sei, l’altro ieri ne ha uccisi due “che uscivano dai tunnel”. La sorte degli altri è diventata un tema da discutere al tavolo delle trattative sul cessate il fuoco, quelle sulla “seconda fase”, prevista dai venti punti di Trump ma di cui si è cominciato a parlare solo martedì, al Cairo. Hamas ha chiesto ai mediatori arabi di Egitto, Turchia e Qatar di negoziare con gli israeliani un salvacondotto per i miliziani di Rafah. C’è però molto altro da discutere prima. Anche gli Stati Uniti di Donald Trump guardano a Rafah, perché è lì che vorrebbero far partire la “ricostruzione della Nuova Gaza”, creare un “modello” per il resto della Striscia. È in quest’area, del resto, che per meno di sei mesi ha operato la Gaza Humanitarian Foundation. Le indiscrezioni sui piani americani sono state diffuse ieri dalla rete israeliana Channel 12, per precisare che il governo di Benjamin Netanyahu è molto cauto sulla prospettiva. Il New York Times, e ieri anche altri media arabi e Al Jazeera, hanno pubblicato informazioni analoghe, basandosi su fonti del Dipartimento di Stato Usa. Washington continua a fare pressione per passare alla ricostruzione e lasciarsi la guerra alle spalle. Tale è la spinta che, con Hamas che resta attiva nella Striscia e il nodo del disarmo irrisolto, gli Usa accetterebbero di ricostruire solo nella metà di Gaza, quella sotto il controllo israeliano, e dove non vivono più gazawi. Dal punto di vista del governo israeliano, niente è ancora stabilito. Devono tornare i corpi di altri due ostaggi (che la Jihad sta cercando a Jabalia) e vanno chiariti mandato e composizione della forza di stabilizzazione internazionale prevista dal piano Trump. Nessuno sa ancora bene dire di cosa si tratti. L’Idf intanto sta rimuovendo detriti e macerie, sigillando tunnel e costruendo nuove condotte di acqua ed elettricità. Si prevede, assicurano fonti militari, di costruire anche delle tendopoli. Sarebbero queste le “Alternative safe communities” (Asc) su cui ragiona il Dipartimento di Stato Usa. Nei prossimi giorni Netanyahu dovrebbe tenere una serie di riunioni con i suoi ministri. Non sarà escluso un ragionamento su un’eventuale ripresa dei combattimenti, nel caso il negoziato naufraghi, e ha già chiesto all’esercito piani operativi. Al di là della linea gialla, intanto, nella parte della Striscia tra Khan Yunis e Gaza City dove sono ammassati i 2 milioni circa di gazawi, gli aiuti umanitari sono ancora troppo scarsi, (dicono le ong e l’Onu) e piove a dirotto e l’acqua allaga e distrugge le tende degli sfollati di Al Mawasi. Quella di Abdullah Hassan e della sua famiglia di cinque persone era già stata allagata dopo i temporali di due settimane fa, ora è completamente distrutta: “Ci siamo spostati da mia suocera, in un campo vicino. Non c’è un posto dove sedersi”. E ai margini della linea gialla continuano gli incidenti e l’Idf denuncia numerosi tentativi di aggressione, che finiscono in raid e sparatorie. Violazioni del cessate il fuoco, per i palestinesi. Dall’11 ottobre sono state uccise almeno 342 persone.