Libano umiliato dalle bombe israeliane, in attesa del papa
Il quinto bombardamento israeliano su Beirut dall’inizio della tregua iniziata il 27 novembre 2024, dopo oltre 13 mesi di guerra, ha colpito domenica pomeriggio la periferia sud della capitale libanese uccidendo almeno sei persone e ferendone 28. Obiettivo, Haytham Ali Tabatabai, membro fondatore e comandante della Forza al Radwane, unità d’élite di Hezbollah, e i suoi uomini. Un colpo senza dubbio importante per l’esercito israeliano, che ora si prepara a un’eventuale risposta di Hezbollah. Il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano si è già recato alla frontiera con il Libano ieri mattina e ha ordinato un «rafforzamento della vigilanza operativa. (…) Il settore è sotto altissima tensione e lo stato di allerta è massimo. Israele si prepara a diverse possibili reazioni, anche da altri fronti come lo Yemen», in riferimento agli Houthi. IL COMANDANTE IN CAPO dell’esercito libanese, Rodolphe Haykal, ha incontrato ieri la coordinatrice speciale delle Nazioni Unite in Libano, Jeanine Hennis-Plasschaert, per discutere della situazione. La recente decisione Usa di annullare la visita del comandante a Washington – la prima nel suo genere – è stata largamente percepita come una «sanzione» umiliante per il Libano, sia dai quadri militari che dal mondo politico. Il vice-presidente del Consiglio superiore sciita, lo sheikh Ali Khatib, nel condannare l’attacco israeliano, ha sottolineato «l’insufficienza dello sforzo messo in atto dallo Stato libanese. L’aggressione (…) mostra l’abbandono del Libano da parte della comunità internazionale». Hezbollah, che ha accusato pubblicamente gli Stati Uniti – attore principale, assieme alla Francia, del processo di stabilizzazione messo in campo dopo la tregua – di aver dato il «via libera» all’attacco israeliano, ora considera una risposta militare. Fino ad oggi, Israele ha unilateralmente violato la tregua con bombardamenti quotidiani soprattutto nel sud e nell’est del paese; occupa inoltre cinque villaggi libanesi lungo la linea di confine. IL LIBANO dieci giorni fa ha annunciato la volontà di presentare un reclamo al consiglio di sicurezza Onu sulla costruzione di un muro da parte di Israele in territorio libanese, che ha reso inaccessibili oltre 4mila metri quadrati di territorio alla popolazione locale, in violazione della risoluzione 1701 e della sovranità libanese. Unifil – forza Onu che presidia con oltre 10mila soldati dal 1978 la Linea Blu, la zona cuscinetto tra i due paesi – ne ha chiesto la rimozione, ma Israele nega che il muro sia stato costruito in territorio libanese: «Il muro è parte di un progetto più ampio cominciato nel 2022» ha dichiarato il portavoce dell’esercito israeliano. A POCHI GIORNI DALLA VISITA di papa Leone XIII, il paese intero è in grande allarme. Una risposta eventuale di Hezbollah trascinerebbe il Libano in una spirale ancor più larga di violenza. Il 31 dicembre segnerà il termine fissato dal parlamento libanese su direttive americane per il disarmo completo di Hezbollah, che ha però già annunciato che ciò non avverrà. Ad agosto, inoltre, è stata sancita la fine della missione Unifil nel dicembre 2026 (ci sarà poi un ulteriore anno per il ritiro totale) e che lascerà il sud del Libano senza un vero e proprio argine, dato anche l’enorme divario tra l’esercito libanese e quello israeliano. L’ambasciatore iraniano in Libano, Mojtaba Amani, ha aperto alla possibilità di una ripresa delle ostilità con Israele: «Siamo pronti a ogni tipo di risposta», ha dichiarato ieri sera ai media iraniani. Tabatabai si aggiunge alla lunga lista di nomi apicali eliminati nelle fila del Partito di Dio. A cominciare da Hassan Nasrallah, guida di Hezbollah per oltre trent’anni, ucciso in un massiccio bombardamento il 27 settembre 2024. Ovvero pochi giorni dopo le esplosioni di cercapersone e walkie talkie in dote ai membri di Hezbollah, che ha palesato il livello di infiltrazione dell’intelligence israeliana nel partito e la fragilità che lo ha portato a firmare una tregua svantaggiosa. IL RISCHIO OGGI è che, consegnando le armi e de facto arrendendosi a Israele, Hezbollah perda la sua egemonia sui territori che ha governato in maniera incontrastata per decenni, facendo della resistenza a Israele il cardine su cui ha basato la sua legittimità. Ciò si tradurrebbe anche in una riduzione del suo potere sulla gestione della ricostruzione delle aree distrutte dalla guerra. Hezbollah, formalmente unito, è spaccato al suo interno sulla gestione del difficile momento. Se però si dovesse trattare di una questione di sopravvivenza, allora gli scenari possibili sarebbero devastanti per tutto il Libano.