L’imam fermato: condanno la violenza. Dalla moschea solidarietà al giornale
Recluso nel Centro di permanenza per i rimpatri di Caltanissetta, a oltre 1500 chilometri dalla sua famiglia e dalla moschea di via Saluzzo che guidava, parla Mohamed Shahin. «Condanno l’assalto a La Stampa e ogni violenza» dice attraverso l’avvocato che lo assiste, Fairus Ahmed Jama. Shahin è in Italia da vent’anni. A Torino ha cresciuto due figli e, da un decennio, è un punto di riferimento per la comunità musulmana. È nel Cpr da lunedì sera, dopo quello che ha detto lo scorso 9 ottobre in piazza Castello: «Sono d’accordo con quanto accaduto il 7 ottobre» (giorno dell’eccidio di Hamas, ndr). E ancora: «Non fu violenza». Frasi che gli sono costate un decreto di espulsione, firmato dal ministro Piantedosi, per «motivi di sicurezza dello Stato e di prevenzione del terrorismo». I suoi legali hanno fatto richiesta di asilo politico perché, dicono, se tornasse nel suo Paese d’origine, l’Egitto, rischierebbe la vita in quanto oppositore del governo di Al-Sisi. Hanno anche fatto ricorso contro il suo trattenimento nel Cpr, ma la Corte d’appello ha convalidato il provvedimento. A Shahin che ha una denuncia per blocco stradale e pare non abbia altri guai con la giustizia – è contestato anche l’aver avuto rapporti, nel 2012 e nel 2018, con persone indagate e condannate per apologia di terrorismo. Relazioni che lui, durante l’ultima udienza, ha negato, aggiungendo: «Non ho mai inneggiato ad Hamas». È gridando il suo nome che l’altro giorno i manifestanti hanno lanciato l’assalto al nostro giornale, accusando La Stampa di essere «complice» del suo arresto. Un episodio da cui la stessa moschea che Shahin guidava prende le distanze: «È in totale contrasto con il percorso di responsabilità, legalità e impegno civico che Shahin ha sempre incarnato. Chiunque abbia collaborato con lui – giornalisti, personale delle forze dell’ordine, membri della nostra comunità – conosce il ruolo attivo che ha svolto nella promozione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni per la Palestina, per due anni consecutivi». Il centro islamico sottolinea che «La Stampa ha spesso dato voce alle numerose iniziative di convivenza, partecipazione democratica e apertura culturale svoltesi nella nostra moschea, riconoscendo il valore dei percorsi sociali costruiti negli anni dalla comunità». E conclude: «Continueremo a operare per la promozione di relazioni costruttive, per il rispetto delle istituzioni e per la tutela della coesione sociale nella convinzione che solo attraverso il dialogo e la pace si possano affrontare le sfide del nostro tempo».