lntervista a Hasan Kilani «in Israele c`è molta ipocrisia sui diritti Lgbtqi »

L’autore giordano palestinese presenta oggi a Napoli la fanzine «I hear your silence», pubblicata da Fada II «Le discriminazioni che affrontiamo sono le stesse, in un luogo o l’altro del mondo, anche si manifestano diversamente, l’essenza dell’omofobia e della queer fobia è la stessa». Per questo il nostro deve essere un movimento transnazionale, mai come in questo momento siamo sotto attacco», dice Hasan Kilani, 35 anni, scrittore e attivista queer femminista giordano palestinese, trasferito a Londra. È in Italia per presentare I hear your silence, fanzine appena pubblicata da Fada, collettivo di reporter multimediali indipendenti italiani, basati in Italia e all’estero. L’obiettivo del progetto, che ha una forte componente fotografica con i ritratti di persone arabe queer nel loro quotidiano a cura di Daniela Sala, è creare ponti tra le sponde del Mediterraneo, spazi di visibilità, confronto tra attivisti e attiviste, associazioni, comunità locali. Dopo Milano, Roma e Trento, I hear you silence fa tappa a Napoli e Salerno per la quinta edizione di Mediterraneo contemporaneo, rassegna curata da Maria Rosaria Greco, quest’anno dedicata alla comunità queer di paesi come Palestina, Libano, Giordania, Egitto, Tunisia. Tre giorni di incontri, mostre, laboratori, per una narrazione decoloniale, tra cui la presentazione della fanzine oggi all’Accademia di Belle Arti di Napoli alle ore 16 e domani ai Morticelli di Salerno. Abbiamo sentito Hasan prima dell’arrivo a Napoli. Qual è la situazione dei diritti Lgbtqi+ in Giordania e nel mondo arabo? La Giordania è uno dei pochi paesi islamici in cui non esiste una legge contro le relazioni dello stesso sesso. Ma non siamo protetti. Se ti discriminano sul posto di lavoro, in ospedale, nell’appartamento dove vivi, nessuno può impedirlo. E c’è ancora più discriminazione contro i rifugiati e i migranti. Attivismo per me è soprattutto produzione di conoscenza, essere sicuri che come persone queer stiamo archiviando la nostra storia. La cultura dominante rifiuta da sempre il fatto che esistiamo, afferma che siamo frutto dell’influenza del mondo occidentale mentre esiste una storia del movimento queer nelle nostre regioni e una storia della poesia Lgbtqi+. Penso ai contributi di figure come Musa Al Shadeedi, scrittore e ricercatore iracheno che ha curato diversi libri sulla sessualità non normativa nel cinema arabo. In Giordania abbiamo cominciato condividendo spazi safe. Nel 2007 è nato My Kali Magazine, rivista online che raccoglie contributi in arabo: racconta di noi, cosa significa essere musulmano e queer. Oggi ci leggono da ogni regione del mondo arabo, e vi collaborano artisti arabi queer da ogni parte del mondo. Molti considerano Israele progressista in campo di diritti. Cosa ne pensi? Ogni anno spendono milioni per portare attivisti europei e americani al Pride, fotografarli, fare propaganda. Il mio punto di vista di palestinese cresciuto sotto il controllo militare israeliano è molto diverso. A 16 anni coloravo i capelli, tingevo le unghie, amavo gli orecchini, mi piaceva vestire come le persone che vedevo in tv. Ogni volta che mi fermavano ai check point mi umiliavano davanti a mia madre, ai miei concittadini: «È questo il tipo di uomo che libererà la Palestina?». In Giordania è stato più semplice provare a fare la differenza, in Palestina la vita è orribile per tutti, che tu sia gay, cristiano, donna, uomo, ti trattano come un rifiuto umano solo perché sei palestinese. Come vive una persona queer in Palestina? L’omofobia esiste, io sono privilegiato, supportato dalla mia famiglia, dalla mia comunità. Vorrei far riflettere sul fatto che la Palestina è una prigione a cielo aperto, tutto è controllato, non c’è accesso al mondo esterno, viaggiare è impossibile. Se metti le persone in prigione, come ti aspetti che ci sia progresso? I diritti umani che Israele garantisce, inclusi i diritti delle persone queer, valgono per israeliani, americani, europei, non per i palestinesi che vivono a due chilometri, dietro un muro. Come vedi la situazione attuale? Forse non è al livello del genocidio che abbiamo visto in questi due anni, ma viviamo nell’oppressione, con decine di palestinesi ammazzati ogni giorno. Questo è il nostro destino, lo scenario, dal 1948. In West Bank, zona «demilitarizzata» anni fa, in questo momento oltre quattrocento minori sotto i 18 anni sono detenuti in prigione. Quando dicono che in Israele il Pride è un segno di progresso, non pensano che ci siano bambini in carcere, leggi fasciste che sottomettono i palestinesi in uno sistema di apartheid fatto di muri e check point. Come fai a essere progressista con i diritti Lgbtqi+ e non estenderli a dei bambini?

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