L’Onu: “Gaza è inabitabile un abisso creato dall’uomo”

Dopo giorni di forti piogge, a Ga2a molte tende non ci sono più. Padri e bambini scavano nel fango a Deir el Balah, a Khan Yunis, cercando di liberare i teloni intrappolati e ricostruirsi un nuovo rifugio, mentre il poco che avevano è andato perduto. Per i quasi due milioni di sfollati palestinesi, sopravvissuti a oltre due anni di guerra e a continui esodi tra il nord e il sud dell’enclave, l’inverno è una nuova catastrofe. Le organizzazioni umanitarie hanno distribuito più di 3.600 tende, 129mila teloni e 87mila coperte dall’inizio del mese, ma è ancora una goccia nel mare dei bisogni, che basta a stento a coprire il 10% delle necessità, dice Amjad Al-Shawa, responsabile della rete di ong nella Striscia. Per affrontare il freddo servono rifugi, come case o prefabbricati mobili, che finora non sono arrivati. La devastazione è tale che «la sopravvivenza stessa di Ga2a è in gioco», avverte l’Unctad, l’agenzia Onu che si occupa di sostenere i Paesi in via di sviluppo, in un rapporto pubblicato ieri. La guerra «ha eroso tutti i pilastri della sopravvivenza» umana, dalle scuole alle panetterie agli ospedali, facendo «sprofondare il territorio palestinese in un abisso creato dall’uomo». Le conclusioni dell’Onu sono drammatiche: «Data la distruzione incessante e sistematica che ha subito, ci sono seri dubbi sulla capacità di Ga2a di ricostruirsi come spazio vitale e come società». La ricostruzione costerà almeno 70 miliardi, stimano le Nazioni Unite, ma l’economia della Striscia ha subito danni tali che ci vorranno «diversi decenni prima che Ga2a recuperi la qualità della vita precedente all’ottobre 2023». Tra il 2023 e il 2024, l’economia della Striscia si è contratta dell’87% mentre «la violenza, l’espansione accelerata degli insediamenti e le restrizioni alla mobilità dei lavoratori» hanno «decimato l’economia» in Cisgiordania. Il Pil palestinese è tornato «al livello del 2010». Un quadro desolante, che si accompagna alle difficoltà politiche di portare avanti la fase due del piano Trump, che prevede il disarmo di Hamas e il ritiro graduale dell’esercito israeliano. La forza di stabilizzazione internazionale che dovrebbe accompagnare questo percorso stenta a prendere forma, perché anche i paesi disponibili a farne parte come l’Azerbaijan hanno chiarito che non invieranno soldati se il mandato sarà quello di combattere contro Hamas. L’Egitto, che avrebbe dovuto organizzare una conferenza sulla ricostruzione a novembre, l’ha rimandata sine die. Ieri al Cairo si sono incontrati i capi delle intelligence turca ed egiziana e il premier del Qatar, i Paesi mediatori, ma la discussione, secondo fonti D di Ankara, è stata incentrata sulle violazioni del cessate il fuoco da parte di Israele – i morti a Ga2a dall’inizio della tregua sono più di 300. Anche dagli stessi americani non arrivano segnali incoraggianti. Secondo il New York Times, l’amministrazione Trump sta spingendo per costruire rifugi temporanei nella zona gialla occupata da Israele – c’è anche già il nome “Comunità Alternative Sicure” – dove i palestinesi dovrebbero trasferirsi lasciando l’area controllata da Hamas , attratti dalla prospettiva di maggiore sicurezza e alloggi meno precari in cui vivere. Ma sul lungo periodo potrebbe significare una Ga2a divisa in due, con l’Est occupato da Israele.

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