Netanyahu spacca Israele e sente Trump al telefono. Sulla grazia Herzog frena

I pretoriani di Netanyahu sono già pronti alla battaglia. La ministra dell’Ambiente Idit Silman, del Likud, arriva a dire che se il premier israeliano non otterrà la grazia, Donald Trump potrebbe intervenire per sanzionare giudici e magistrati israeliani. Il ministro estremista della Sicurezza, Itamar BenGvir, sostiene che Bibi sia stato incastrato da una magistratura corrotta, e che solo la grazia possa riappacificare il Paese. È la tesi dello stesso Netanyahu, che chiede clemenza ma non ammette colpa, e invocando il perdono lo presenta come una liberazione per l’intero Stato, perché solo lui può guidare la nazione verso la riconciliazione. Anche di questo è probabile che il premier israeliano abbia parlato ieri nella telefonata con l’alleato Donald Trump, che si era già speso per la grazia a Netanyahu, giudicando il processo contro di lui una macchinazione politica, e potrebbe ancora intervenire. Di fronte a tutto questo, il presidente israeliano prova a fare muro. Nell’analizzare la richiesta «considererò solo il bene dello Stato e della società israeliana. La grazia è un tema che inquieta molte persone nel Paese. Una cosa mi è chiara: la retorica violenta non mi influenza, anzi», ha detto Herzog. Che tuttavia è in una posizione non semplice. Una grazia senza condizioni, e senza ammissione di colpa, per I giunta a processo ancora in corso, sarebbe una prima volta nella storia giudiziaria di Israele, sosterrebbe «di fatto l’affermazione di Netanyahu secondo cui non ha responsabilità per i presunti crimini, né per il 7 ottobre, e farebbe a pezzi l’opinione pubblica», scrive l’analista Shalom Yerushalmi. Netanyahu è il primo premier in Israele a essere sotto accusa in tre processi, e il primo che abbia chiesto la grazia senza attendere l’esito del giudizio. L’ex premier Olmert, anche lui accusato di corruzione e poi condannato, lasciò la politica e scontò 16 mesi in carcere. Il capo dei Democratici, Yair Golan, dice che quella di Netanyahu «non è una richiesta di grazia, è una richiesta di annullamento di un processo, e non è legale». Altri esponenti dell’opposizione chiedono che se grazia deve essere, sia subordinata al ritiro di Netanyahu dalla politica e all’ammissione di colpevolezza, due condizioni che il premier ha già rifiutato. Ieri il premier è tornato in tribunale per difendersi dalle accuse di corruzione, ma il suo avvocato ha chiesto l’annullamento dell’udienza prevista per oggi «a causa dei suoi impegni politici e di sicurezza». Dalla sua, Bibi ha il sostegno del presidente americano, almeno sulla questione del perdono giudiziario. Dopo la telefonata tra i due, l’ufficio stampa del governo israeliano ha potuto comunicare che Netanyahu è stato invitato alla Casa Bianca e ci andrà «nel prossimo futuro»: sarebbe la quinta visita da quando Trump è presidente. I due leader hanno discusso «l’importanza e l’impegno nello smantellamento delle capacità militari di Hamas e nella smilitarizzazione della Striscia di Gaza, e hanno parlato dell’ampliamento degli accordi di pace», recita il comunicato ufficiale. Ma i toni di Trump non erano stati morbidi prima del colloquio. A dividere i due amici è la Siria: il presidente americano non nasconde la sua fascinazione politica per al Sharaa, l’ex jihadista ora giudicato un «tipo tosto», e ha chiesto a Netanyahu di non interferire con gli affari di Damasco, alla luce dei continui attacchi dell’Idf nel sud del Paese: «È molto importante che Israele mantenga un dialogo forte e sincero con la Siria – ha scritto Trump sul suo social – e che non accada nulla che possa interferire con l’evoluzione della Siria verso uno Stato prospero».

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