Nuovo raid di Israele su Beirut. Ucciso il numero due di Hezbollah

L’articolo sulla Repubblica si focalizza sull’uccisione di Haytham Ali Tabatabai, descritto come “capo di stato maggiore de facto di Hezbollah e numero due dell’organizzazione sciita” , avvenuta con sei missili nel quartiere Dahiyeh di Beirut. Viene riportata integralmente la giustificazione di Netanyahu che lo definisce “un assassino con le mani sporche di sangue israeliano e americano” e l’accusa israeliana che il gruppo si stia riorganizzando. L’elemento ambiguo è la forte enfasi sulla condanna del presidente libanese Aoun che accusa Israele di ignorare gli appelli internazionali e le risoluzioni , e il posizionamento dell’attacco alla vigilia della visita di Papa Leone XIV in Libano, che amplifica la retorica dell’opportunismo israeliano. Pur fornendo i dati salienti sull’obiettivo militare , la cornice narrativa è quella di una “escalation” irresponsabile di Israele proprio mentre Hamas era al Cairo per discutere la fase due della tregua, attribuendo al solo Stato ebraico la colpa di aver alzato il tiro.

Israele colpisce ancora: bombardando quel Libano che già da giorni martella, proprio mentre al Cairo Hamas incontra i mediatori per discutere di escalation nella Striscia e fase due del piano di tregua. Ma questa volta alza il tiro: nel mirino è finito Haytham Ali Tabatabai, capo di stato maggiore de facto di Hezbollah e numero due dell’organizzazione sciita, secondo di Naim Qassem, succeduto ad Hassan Nasrallah un anno fa. «Era un assassino con le mani sporche di sangue israeliano e americano», ha scritto sul suo account X il premier Benjamin Netanyahu, spiegando di averne ordinato l’eliminazione su raccomandazione del capo di stato maggiore Eyal Zamir e del ministro della Difesa, Israel Katz. «Non permetterò che Hezbollah torni a costituire una minaccia per Israele. Il governo libanese li disarmi», ha proseguito faI cendo riferimento all’accordo raggiunto un anno fa. Sul condominio dove si trovava Tabatabai, nel quartiere Haret Hreik, a sud di Beirut, sono caduti sei missili che hanno ucciso 5 persone e ferite altre 28. Secondo Barack Ravid, solitamente ben informato giornalista di Axios, gli Stati Uniti non sono stati avvertiti preventivamente dell’attacco: «Lo abbiamo saputo dopo», gli ha rivelato una fonte. «Ma sapevano da diversi giorni che Israele stava pianificando qualcosa lì. Solo, non ne conoscevano in anticipo tempi, luogo e obiettivo». Secondo l’Idf, il numero due di Hezbollah era la figura chiave della ripresa e del riarmo del gruppo. Sì, perché da settimane Israele sostiene che il gruppo si sta riorganizzando. Accusando il governo libanese di non averne smantellato le postazioni nel sud del Paese, al confine, cioè, con lo Stato ebraico. Lasciandogli la possibilità di riarmarsi e tornare a costituire una minaccia per Israele. Eppure, solo venerdì, il presidente libanese Joseph Aoun aveva chiesto negoziati diretti per discutere il ritiro dell’esercito israeliano dagli avamposti del Libano meridionale: in cambio del proseguimento delle azioni contro Hezbollah e di un accordo di pace. Ieri, Aoun, ha dunque sottolineato che l’attacco, attuato in coincidenza con l’anniversario dell’indipendenza del Libano, e a pochi giorni dalla visita di Papa Leone XIV (dal 30 novembre al 2 dicembre) è «l’ulteriore prova che Israele ignora i ripetuti appelli a cessare l’aggressione contro di noi». Accusando: «Rifiutano di attuare le risoluzioni internazionali e tutte le iniziative volte a porre fine all’escalation e a ripristinare la stabilità di tutta la regione». L’intelligence israeliana dice che Hezbollah potrebbe rispondere nei prossimi giorni: attaccando obiettivi israeliani o ebraici fuori da Libano o Israele, per evitare l’escalation dei combattimenti.

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