Palestina, il Consiglio di Sicurezza Onu legittima un`occupazione illegale
La risoluzione 2803 del Consiglio di Sicurezza del 17 novembre 2025, letta dal punto di vista del diritto internazionale, rivela criticità profonde e contraddizioni che ne compromettono validità e legittimità. Il limite più grande consiste nell’implicita violazione del diritto di autodeterminazione del popolo palestinese. La risoluzione subordina qualsiasi «percorso credibile verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese» al completamento di un programma di riforme dell’Autorità nazionale palestinese, ente che amministra la Cisgiordania, che nella risoluzione peraltro non è mai menzionata. Questa condizionalità trasforma un diritto inalienabile, riconosciuto dalla Carta dell’Onu, ribadito a più riprese dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) e che ha valore di norma di carattere cogente, in una meta da raggiungere in un futuro indefinito: si sospende a tempo indeterminato la possibilità di costruire uno Stato palestinese. TUTTAVIA, il Consiglio di Sicurezza non può esercitare i propri poteri al di fuori del perimetro fissato dal diritto internazionale. La Commissione di diritto internazionale dell’Onu ha chiarito che le decisioni delle organizzazioni internazionali non possono generare obblighi giuridici quando entrano in conflitto con norme cogenti del diritto internazionale generale e che atti normalmente vincolanti rischiano l’invalidità se violano principi fondamentali e inderogabili. Di dubbia legalità è poi l’istituzione di un’amministrazione fiduciaria internazionale su Ga2a, che ripropone modelli ereditati dall’era coloniale, quali i Mandati della Società delle Nazioni dopo la Prima guerra mondiale, concepiti per governare territori privati della propria autodeterminazione. Tale amministrazione affidata al “Board of Peace” (BoP), un organo ibrido, dotato di poteri estesi e poco definiti si sovrappone all’occupazione esistente senza disputarne l’illegalità, con il rischio di consolidarla nel tempo. Inoltre, il BoP, presieduto dal presidente Usa Donald Trump, crea una frizione evidente con i criteri di imparzialità richiesti per l’amministrazione internazionale di un territorio. LE AMMINISTRAZIONI internazionali di Unmik in Kosovo o Untaet a Timor Est erano sotto l’autorità dell’Onu e prevedevano meccanismi di garanzia e di accountability. L’autorizzazione a creare una International Stabilization Force (ISF) e a «usare tutte le misure necessarie» per adempiere al suo mandato richiama la formula standard per l’uso della forza contenute in precedenti autorizzazioni date agli Stati, ma con una differenza cruciale: questa volta la ISF agisce sotto l’autorità del “Board of Peace” e si prevede solo una generica richiesta agli Stati che ne fanno parte di riferire periodicamente al Consiglio di sicurezza. Inoltre si prevede una demilitarizzazione della Striscia a carattere unilaterale e si stabilisce che il ritiro delle truppe israeliane sia concordato con l’esercito israeliano potendo questo mantenere una sua presenza a tempo indefinito.. OLTRE A TUTTO, la risoluzione non affronta uno dei nodi più critici: l’accertamento delle responsabilità per le violazioni del diritto internazionale commesse negli ultimi due anni. Non vi è alcun riferimento ai rapporti della Commissione d’inchiesta delle Nazioni unite, in cui si constata la commissione di crimini internazionali e atti di genocidio da parte di Israele e dei suoi leader, né al parere della CIG del 2024 che ha sancito l’illegalità dell’occupazione e alle successive risoluzioni dell’AG, né si menzionano le indagini della Corte penale internazionale. Sconcertante, inoltre, la mancanza di qualsiasi previsione di rimedi e risarcimenti per le vittime, mentre chi ha distrutto la Striscia di Ga2a esce esente da obblighi di riparazione. LA RISOLUZIONE su Ga2a arriva a pochi giorni di distanza da un’altra decisione controversa del Consiglio di Sicurezza (ris. 2797 del 2025), quella sul Sahara occidentale. In quel caso il testo, pres entato sempre dagli Stati Uniti, ha avallato il piano di autonomia proposto dal Marocco nel 2007, riconoscendo di fatto la sovranità marocchina sul Sahara occidentale in violazione del diritto di autodeterminazione del popolo Sahrawi. Alla luce di questi sviluppi, emerge con sempre maggiore chiarezza l’immagine di un Consiglio di Sicurezza che tende ad adottare risoluzioni sulla base del condizionamento di alcuni dei membri Permanenti sganciandosi dalla legalità e dalla Carta stessa. Il diritto internazionale finisce così per essere trattato non come uno strumento essenziale per costruire una pace giusta, fondata sul diritto all’autodeterminazione dei popoli e sul rispetto dei principi fondamentali, ma come un ostacolo da aggirare.