Roma e Napoli città capofila di chi resiste ai pro Pal. La metamorfosi di Bologna
Ora bisognerà vedere come reagisce Milano. E in quale categoria si inserirà – prima, dopo e durante le proteste «anti-genocidio» che si terranno alla “prima” di Lady Macbeth alla Scala tra due giorni – rispetto alla continua ondata Pro-Pal: nella categoria delle città che resistono o in quella delle città che cedono? Perché è in corso una metamorfosi o meglio uno scambio di ruoli tra i Comuni italiani, guidati dalla sinistra. Bologna «la dotta», la città che ne ha passate tante (il ‘77 degli «espropri proletari», degli indiani metropolitani, della furia dell’autonomia operaia) e le ha superate tutte facendo sistema tra progressismo, civismo, forza accademica e cattolicesimo democratico e “adulto”, sembra diventata ormai un accampamento dell’antagonismo alla Albanese. E nell’ateneo che fu culla dei glossatori, il lievito della scienza giuridica e il simbolo della civilizzazione europea, e dove dal ‘900 l’associazione del Mulino ha unito tutte le farine del miglior riformismo, si sta preparando la nuova battaglia. Quella del 12 dicembre contro la partita di basket tra la Virtus e il team israeliano dell’Hapoel Tel Aviv. Si prevede un remake della guerriglia per il match italo-israeliano Virtus-Maccabi pochi giorni fa. Roma invece in un contesto generale sempre più eccitato riesce ad assorbire, e a gestire per ora senza troppi problemi, la nuova conflittualità da fiera editoriale Più Libri Più Liberi dove si vogliono negare parola e presenza a un gruppo librario di destra. E si riesce nella Capitale, al netto di qualche divisione in Campidoglio, a smorzare le forzature faziose perché il Modello Giubileo, il metodo del dialogo istituzionale e politico tra destra e sinistra, il format dell’interesse generale contro lo spirito di fazione, sembra aver dato a Roma una forza e una sicurezza di sé che altre città mostrano di non avere e finiscono sovrastate dagli eventi di piazza. NAPOLITAN SOUND E Napoli? Non è sempre stata considerata, esageratamente, la prima città palestinese d’Italia? È un’altra Napoli, ormai, quella del sindaco Manfredi e del neo-presidente campano Fico, proiettata nel futuro da Coppa America, nell’industria del turismo da record e in quel percorso di crescita e di affermazione dell’interno Mezzogiorno per cui – nuovi dati Istat – il divario rispetto al Nord diminuisce. Possono attardarsi realtà così, come Roma che è sempre più centrale, come Napoli in pieno slancio, nelle retrovie da cittadinanza onoraria a Francesca Albanese su cui la capitale emiliana non molla e «perseverare è diabolico», come sostiene giustamente un bolognesissimo doc qual è Romano Prodi? Si diceva di Milano e delle contestazioni previste alla Scala. Anche lì, nel capoluogo lombardo, si oscilla nella sinistra tra l’andazzo del terzomondismo piazzaiolo e il senso civico di responsabilità per cui occorre tenere un contegno e non essere subalterni al vento che tira. E allora, in queste metamorfosi e ribaltamenti tra le varie città, ecco Firenze che ieri con la sindaca Funaro ha ribadito «niente cittadinanza ad Albanese» e Bari che invece, pur governata da una sinistra seria, la stessa che si è imposta a livello regionale con il neo-presidente Decaro, resta salda nella sua scelta a favore dell’eroina Pro Pal. ROVESCIAMENTI Paradigmi diversi, rivolgimenti interessanti, un rimescolio di tradizioni civiche e politiche è in atto insomma nel tessuto delle nostre città. L’asse Bologna-Bari. Il contro-asse Roma-Firenze. E a Napoli, Manfredi non fa che dire che non gli interessano le cittadinanze onorarie ma le questioni reali e non propagandistiche, per cui le priorità sono quelle della buona amministrazione e della proiezione economica della capitale del Mezzogiorno. Non sono stati sempre questi, in un altro contesto geografico, gli ingredienti tipici della tradizione bolognese, simbolo di cultura del fare e di avanguardia industriosa e non di retroguardia radicaleggiante? Ecco: le città italiane sono investite da un antagonismo di ritorno. Alcune cedono guardando all’indietro e altre resistono e ribadiscono la propria modernità. Roma figura nella seconda categoria perché, oltre al format del dialogo istituzionale, sta per ospitare la kermesse di Atreju dove decine di leader e esponenti di sinistra divideranno la scena da ospiti con i padroni di casa di FdI e, per restare sul terreno palestinese, il presidente Abu Mazen sarà una guest star nel raduno della destra italiana che oggi non è assolutamente nemica dello Stato d’Israele. Inclusività e rifiuto del minoritarismo protestatario. Se questo diventa il senso di marcia delle nostre città – ma non di alcune: di tutte – vince il “nuovo” e perde il “vecchio”.