Territori occupati, ma il boutique hotel su Booking è libero

Un servizio fazioso, costruito per insinuare l’idea che Israele normalizzi l’occupazione attraverso il turismo. L’articolo si concentra su un hotel in Cisgiordania, ma ignora completamente le norme legali internazionali e la pluralità di voci sul tema. Assente qualsiasi verifica delle fonti o confronto con le autorità israeliane. Il tono ironico e accusatorio trasforma un reportage turistico in un esercizio di delegittimazione politica.

“Buonasera host, non so se siete a conoscenza del fatto che Airbnb (e Booking) sono state inserite dall’Onu nella lista di aziende che sostengono il genocidio e l’occupazione in Palestina. La motivazione risiede nel fatto che le due piattaforme permettono di pubblicare proprietà da parte dei coloni israeliani nei territori occupati, zone che secondo gli accordi di Olso dovrebbero appartenere allo Stato palestinese”. È il 21 luglio 2025: questo post compare in uno dei gruppi Facebook riservati agli host italiani di Airbnb e Booking, che – all’apice della guerra Israelo-Palestinese – hanno iniziato a chiedersi se non fosse il momento di boicottare anche la fonte dei loro guadagni e non solo i destinatari delle loro spese. “Contattando Airbnb – continua l’utente – mi hanno detto che non possono rispondere su questioni politiche”. Ma entrambe le piattaforme sono state inserite nella lista delle aziende da boicottare. “Credete che se scrivessimo tutti per chiedere spiegazioni e un passo indietro ad Airbnb possa funzionare?”. Tra le centinaia di commenti al post appare la presentazione di una iniziativa (“Host for palestine”) di raccolta firme per domandare ai Ceo delle piattaforme di eliminare gli annunci per alloggi turistici in territori occupati, incluse Cisgiordania e Gerusalemme Est. “Al momento ho sospeso per due mesi la possibilità di prenotare su Airbnb il mio appartamento: non voglio essere complice del genocidio in Palestina” scriveva una utente nel “Community Center” del sito.

APPARTAMENTI graziosi e con giardini, solarium e piscine sono infatti disponibili attualmente in tutta la Cisgiordania. Una “splendida camera vicino al Mar Morto” a 1.900 euro al mese è indicata a Yitav, un avamposto nella piana desertica della Valle del Giordano meridionale, a ovest del villaggio di Oja (Gerico) che ha fatto da base di partenza per un blitz che ha devastato il villaggio di Al Muarrajat a luglio. I tappeti rosa, il quadro con un cane dipinto e il copriletto colorato stonano con l’immagine delle aggressioni coloniali. A Netiv HaGdud, a pochi chilometri di distanza, c’è una “Stanza privata in cottage immerso nella natura” con “vista sul deserto”. Da qui, si legge nell’annuncio da 5mila euro al mese “puoi combinare la tua ospitalità con un tour agricolo che racconta gli alberi di Argan e la produzione di olio marocchino”. Sabato mattina, 11 ottobre, le sirene hanno invece allertato i residenti dell’insediamento di Elei Zahav per una sospetta “infiltrazione terroristica”. L’Idf ha ordinato ai residenti di entrare nelle aree protette. Proprio qui ci sono due abitazioni in affitto tra i 1.500 e i 2 mila euro. Letti a castello, cubi di cemento, arredi spartani. In effetti, le prenotazioni scarseggiano: neanche una fino a gennaio. Su Booking, a 142 euro a notte, troviamo il Sinai 48 Boutique Apartment. Si trova, dice l’indirizzo, nei “Territori Palestinesi, Insediamento israeliano”. Presenti wi-fi gratuito, aria condizionata e giardino con piscina. “Come ospiti presso Gli questo bed and breakfaanc st avrete a disposizione Alc una terrazza solarium”. di a SECONDO il Guardian, fino a qualche mese fa entrambe le piattaforterr pub Boo me ospitavano offerte per ospitare almeno 2 mila persone: 760 stanze in totale. Ancora oggi è possibile muoversi sulle loro mappe e percorrere gli annunci sullo schermo: Jenin, Ramallah, Gerico, Gerusalemme Est, Betlemme, Masafer Yatta, Hebron: a ottobre e novembre erano disponibili centinaia di alloggi, è da stanze in case modeste a ville con piscina. Non è semplice identificare chi siano i proprietari e da quanto tempo, se siano palestinesi o israeliani. Alcuni inseriscono nell’annuncio la parola “Palestinian” o la bandiera palestinese. Certo, si tratta di un tipo di impresa comunque tenuta in gran conto dal governo israeliano e su cui, ancora oggi, si giocano diverse battaglie.

KARNEI SHOMRON, ad esempio, è un insediamento israeliano dagli anni 70, a est d
ella città di Kfar Saba. Fa parte dell’Area C della Cisgiordania, che è sotto il pieno controllo militare e civile israeliano ed è in continua espansione. Chiediamo al proprietario di un appartamento da 145 euro a notte se la situazione è tranquilla. “Viviamo una vita normale – dice – Non abbiamo sirene o cose spaventose”. Poi aggiunge: “Non credere a ciò che mostrano i media…” con l’emoticon dell’occhiolino. A fine 2024, il Centro di Ricerca sulle Multinazionali (Somo) insieme a un consorzio di organizzazioni della società civile, ha presentato nuove prove alla Procura di Rotterdam, nei Paesi Bassi, a sostegno della sua denuncia penale contro Booking.com. Un anno prima avevano infatti accusato la società di riciclaggio dei profitti derivanti da attività negli insediamenti israeliani illegali nei Territori Palestinesi Occupati. Secondo gli attivisti, non solo Booking.com aveva continuato le sue attività in questi insediamenti, ma le aveva anche notevolmente ampliate. “PROMUOVENDO e pubblicizzando strutture in insediamenti illegali, Booking.com promuove direttamente la normalizzazione e la sostenibilità economica di queste pratiche illecite – spiegavano –. Fornendo supporto finanziario ai coloni e alle loro imprese, riteniamo che l’azienda stia favorendo lo sfollamento dei palestinesi e consolidando l’espansione degli insediamenti”. Airbnb invece aveva prima difeso le sue passate operazioni nella Cisgiordania occupata, sostenendo che fossero conformi alla legge statunitense e alla sua missione “di riunire le persone nel maggior numero possibile di luoghi in tutto il mondo”. Poi c’era stata una inversione di marcia, giustificata dalla consultazione di esperti. La soluzione di sintesi, per evitare contenziosi da parte degli host israeliani e riaprire gli annunci, era stata impegnarsi a donare i proventi dagli affitti in Cisgiordania alle organizzazioni umanitarie. Abbiamo chiesto se la devoluzione sia ancora in corso ed è stato confermato, seppur senza dettagli sull’ammontare dei profitti donati né sull’organizzazione destinataria. Booking invece non ha dimostrato la stessa disponibilità. L’unico impegno preso è stato quello di segnalare con un “avviso” gli annunci negli insediamenti in Cisgiordania. “Non spetta a noi stabilire dove una persona possa o non possa viaggiare” ha risposto l’azienda alle nostre domande.

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