Tocca a Israele sbloccare lo stallo in Medio Oriente
C’è un dibattito midrashico a commento del celebre episodio delle aperture delle acque del Mar Rosso. I chachamim, i saggi della tradizione di Israele, discutono su chi sia stato a entrare in acqua per primo, fidandosi che le acque si sarebbero ritirate. La scelta ricade su Nachshon ben Aminadav, per cui solo è detto che entra nelle acque, mentre per gli altri, che «camminarono sull’asciutto». Questo non perché Nachshon abbia posato il piede sull’acqua, ma perché solo lui corse quel rischio. Gli altri. avendo avuto lui come esempio, erano certi di camminare sulla sabbiaNon trovo immagine migliore a commento del tanto atteso incontro fra Donald Trump e Mohammed bin Salman. Il meeting ha infatti ribadito lo stallo in cui si trova oggi l’architettura. del nuovo Medio Oriente che dovrebbe plasmarsi attorno all’asse israelo-sunnita ribadito dai venti punti del piano con cui si è raggiunto un fragile cessate il fuoco a Ga2a. Bin Salman ha manifestato la volontà saudita di aderire agli Accordi di Abramo, che contano la recentissima adesione del Ka2aidstan (operazione importante anche m ottica di contenimento cinese), ma solo dopo che Israele avrà dato prova di perseguire davvero l’idea della formazione di un’entità politica palestinese, almeno uscendo da Ga2a- Israele, però, procederà al ritiro solo dopo il disarmo e la resa definitiva di Hamas, che chiede, a sua volta, che Israele prima esca dalla Striscia- Stesso stallo sul fronte Nord. Il governo libanese è seriamente intenzionato a procedere ad una storica normalizzazione diplomatica con lo Stato ebraico, ma Israele deve porre fine ai raid nel sud del paese. L’idf smetterà nel momento m cui Hezbollah sarà disarmato. Si smettono i raid per disarmare Hezbollah o si disarma Hezbollah per far cessare i raid? Stessa cosa in Siria: Al sharaa, anche lui reduce da una storica prima visita a Washington di un presidente siriano dalla nasata del paese, vorrebbe portare il proprio Stato definitivamente in area occidentale, anche passando per gli Accordi di Abramo, ma Israele deve ritirarsi dalle pianure del Golan, annesse nel 1981, senza che questo passaggio sia mai stato riconosciuto dalla comunità internazionale. È nota la valenza strategica del Golan, a cui lo Stato ebraico non rinuncerà certo facilmente. La traiettoria diplomatica vorrebbe ripiegare, cosi, su un comunque importantissimo accordo di coopera zione militare, che riesumi quello siglato nel 1974, ma Israele dovrebbe retrocedere almeno nei confini precedenti alla caduta di ASsad, quando l’idf si era insediato nella parte sìrìana del Golan, intaccando un equilibrio, che, bene o male, reggeva dal 1967. Lo farà quando Damasco reprimerà le milizie fuori controllo che minacciano il confine. Al Sharaa procederà quando Israele sgombererà il campo. Cisgiordania? Uguale: qualunque sia il leader, e al netto della nuova strategia espansionistica del tutto fallimentare [i dati demografia relativi alla popolazione ebraica nella west Bank parlano da sé) delle punte più estreme del sionismo religioso, Israele non si ritirerà finché le roccaforti terroristiche a Tulkarem. Jenin e altre parti dei territori palestinesi non saranno represse. Insomma, ovunque si butti l’occhio la domanda è sempre la stessa: chi inizia per primo? Ed è qui che entra in scena il nostro Nachshon ben Ammadav, che ha avuto ü coraggio, perché tanto ce ne vuole, di compiere il pri- mo passo. Un motivo in più perché da qui si sostenga un cambio di leadership politica appoggiando chi, come il federatore della sinistra Yair Golan ha più volte affermato di voler fare, si assuma l’incarico di affrontare la domanda rimossa dei confini dello Stato. Un vero tabù dal rifiuto palestinese del piano 01mert del 2008 ed il precedente di Barate: neL 2000. In mezzo, la terribile seconda intifada che avrebbe minacciato la tenuta di qualunque società, un primo passo israeliano, certo fàcile dirlo da qui, offrirebbe, forse, ai governi arabi la possibilità di impegnarsi nella Striscia aggirando l’avversione delle pro prie opinioni pubbliche verso Tei Aviv, da sempre carburante per la propaganda fondamentalista intemaDeve essere chiaro a tutti: non esiste piano â. Ad oggi, questo è l’unico asse che possa garantire una stabilità per il Medio Orienta Gli accordi sauditi-paldstani sono importanti, ma si infrangono sullo scoglio di interessi contrastanti. Basta vedere gli strettissimi rapporti commerciali fra Riad e Nuova Delhi. Piaccia o no, le alleanze si costruiscono su nemici comuni e nel caso dell’asse israelo-sunnita il nemico è chiarissimo: la Repubblica islamica.