Basta con la narrazione tossica che cancella il 7 ottobre
di Paolo Crucianelli - 4 Settembre 2025 alle 08:03
Senza voler nulla togliere al dramma umano che vive la gente di Gaza, occorre dire con chiarezza che la narrazione prevalente nel dibattito pubblico e mediatico è diventata tossica. Israele viene dipinto come feroce, inumano, incurante delle morti che produce. Viene costantemente accusato dei peggiori crimini che l’umanità abbia conosciuto: genocidio, massacri indiscriminati, carestie indotte, violazioni dei diritti umanitari, bombardamenti su ospedali, scuole, campi profughi. Ma in questa narrazione il vero colpevole non viene quasi mai nominato.
Al massimo, si sprecano due parole di circostanza: “abbiamo sempre detto che condanniamo fermamente ciò che è avvenuto il 7 ottobre”. Anche la scelta del verbo avvenire non è casuale: è un verbo neutro, quasi a sottolineare una normalità. Il verbo perpetrare, che invece indica con chiarezza la responsabilità di chi compie un crimine, non viene mai usato, come se si volesse rimuovere l’idea stessa di colpevolezza. Poi però quel giorno e ciò che ne è seguito — la strage, la barbarie assoluta e la presa di ostaggi — scompaiono dal discorso. La narrazione dominante è quindi finalizzata solo alla criminalizzazione dello Stato di Israele e produce effetti devastanti: l’aumento esponenziale dell’antisemitismo, in Italia e nel mondo, e la cancellazione delle colpe di Hamas. Il concetto stesso di ostaggi viene normalizzato, come stessimo parlando di prigionieri di guerra. Ma non è così, non sono soldati catturati in battaglia, sono donne, uomini, bambini, anziani segregati, torturati, violentati, umiliati, affamati e in gran parte alla fine uccisi.
Sono spariti i filtri etici che dovrebbero distinguere, ogni volta, ripeto: ogni volta, tra una legittima protesta contro le scelte di un governo — come avviene liberamente nella stessa Israele — e la santificazione di una causa portata avanti in massima parte da organizzazioni terroristiche, con metodi terroristici. Il risultato è un’azione confusa che ha come punti fermi la bandiera palestinese e lo slogan “Palestina libera dal fiume al mare”: parole che non significano altro che la cancellazione dello Stato ebraico, esattamente l’obiettivo di Hamas e dell’Iran che lo finanzia, lo arma e lo manovra.
C’è chi parla di sproporzione nei numeri delle vittime: quelle del 7 ottobre da un lato, quelle palestinesi dall’inizio della guerra dall’altro. Ma anche volendo prendere sul serio quei numeri — ricordando che provengono soltanto dalla parte palestinese — resta un fatto ineludibile: ciò che è avvenuto il 7 ottobre è stato un atto che non trova definizione adeguata nelle parole. Dire “disumano” è poco. È stata una barbarie infinita, la materializzazione dei peggiori incubi che un essere umano possa temere.
Ho visto quei filmati. Alcune cose sono talmente atroci che non riesco nemmeno a scriverle: subentra un pudore che mi impedisce di raccontarle. Ma occorre che tutti le vedano, per quanto violento, crudele e doloroso sia questo esercizio. Possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che guardare i filmati del 7 ottobre provoca un trauma emotivo indelebile. E se già per chi li vede da lontano l’impatto è devastante, si può solo provare a immaginare cosa abbiano sperimentato coloro che quella carneficina l’hanno subita sulla propria pelle, o i loro parenti, amici, connazionali.
Alla luce di ciò, criminale non è lo sforzo di Israele di estirpare il male che ha accanto, dopo l’orrore che ha subito, cercando — secondo gli esperti militari — di limitare al minimo le vittime civili. Criminale è omettere di ricordare l’origine della guerra e la maggiore responsabilità di chi l’ha voluta. Perché ogni singolo giorno di guerra dipende esclusivamente dal rifiuto categorico di Hamas di restituire gli ostaggi e deporre le armi.
È questa cosa, semplice e evidente tanto da sembrare ovvia, che il mondo dovrebbe pretendere, senza esitazioni: la resa incondizionata di un’organizzazione terroristica che non ha alcuna dignità statuale, in cambio avranno salva la vita. Questa dovrebbe essere l’unica concessione possibile, e l’Occidente dovrebbe gridarla all’unisono, con una voce continua, pressante, inarrestabile.
Invece no. L’Occidente balbetta, oscilla, si divide. Così Hamas resta in piedi, rafforzato da una propaganda incessante che non fa altro che peggiorare le condizioni di quel popolo palestinese che, a parole, tanti dicono di avere a cuore. Ma che in realtà, con slogan e flottiglie, finiscono per condannare a sofferenze sempre più grandi.