L'intervista
Bimbi di Gaza con disabilità, l’aiuto dell’Istituto Serafico di Assisi: “Così daremo cura e assistenza”
di HaKol - 20 Ottobre 2025 alle 10:30
L’Istituto Serafico di Assisi scende in campo per i bambini con disabilità di Gaza. Ne parliamo con la presidente Francesca Di Maolo, che spiega come la solidarietà può diventare cura concreta anche in una realtà colpita dalla guerra, grazie alla collaborazione con le istituzioni e con la Protezione civile.
Qual è il contributo concreto che l’Istituto Serafico di Assisi porterà per i bambini di Gaza?
«Ci siamo resi disponibili ad accogliere e prenderci cura di alcuni bambini con disabilità di Gaza, offrendo una presa in carico sociosanitaria integrata. È un impegno che va oltre l’assistenza sanitaria, perché le persone con disabilità raramente vengono evacuate dalle zone di guerra. La loro presa in carico è complessa: richiede il coordinamento di servizi e competenze mediche, riabilitative, educative, sociali. Molti Paesi non sono pronti ad accogliere persone con disabilità fuggite dalla guerra, perché serve molto più di un letto di ospedale ma centri di riabilitazione, fisioterapia, supporto educativo, assistenti personali. C’è bisogno di una rete sociosanitaria integrata, non solo di ospitalità temporanea. Per questo stiamo lavorando anche per sensibilizzare le istituzioni sulla necessità di tutelare i diritti delle persone con disabilità nei conflitti armati. La guerra per un bambino con disabilità non è solo una minaccia alla vita: è la cancellazione di ogni possibilità di cura, di relazione, di sopravvivenza».
Sarà fondamentale coordinarsi con il Ministero e con le organizzazioni già presenti nella Striscia. Insomma, un compito importante…
«Il ministro Locatelli è da tempo parte attiva su questo tema; ad agosto ha promosso la Cabina di regia per i bambini con disabilità di Gaza riunendo diverse istituzioni e organizzazioni per coordinare interventi di accoglienza e assistenza. Ne fanno parte la Protezione civile, la Croce Rossa italiana e le Misericordie d’Italia, insieme a realtà che da sempre operano nel campo della disabilità come il Serafico e La Nostra Famiglia. Noi siamo in prima linea per fare rete, collaborando con le realtà che già operano nei territori di crisi. Si tratta di provare a realizzare concretamente il diritto internazionale umanitario e la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità che impongono agli Stati di garantire interventi accessibili e inclusivi anche in emergenza».
Quali sono le priorità che avete individuato per l’assistenza ai bambini con disabilità?
«Durante i conflitti, le persone con disabilità sono tra le più vulnerabili: non riescono a fuggire, hanno difficoltà ad accedere ai rifugi, perdono gli ausili o i farmaci da cui dipende la loro vita; le loro famiglie che non hanno più risorse né aiuti. I sistemi di evacuazione non sono pensati per chi si muove in sedia a rotelle o ha bisogno di assistenza continua. È urgente creare corridoi umanitari accessibili, con mezzi attrezzati e personale formato, in grado di garantire aiuto anche a chi ha bisogni complessi. Durante i conflitti vengono a mancare molti farmaci – insulina, antiepilettici, psicofarmaci, soluzioni nutrizionali, terapie riabilitative, perfino i pannoloni. E poi ci sono i genitori che diventano infermieri, insegnanti, psicologi e soccorritori allo stesso tempo: sono esausti, spesso senza soldi, senza sostegno ed è essenziale garantire loro aiuti economici immediati, supporto psicologico e assistenza diretta, affinché possano continuare a prendersi cura dei propri figli».
Il Serafico è riconosciuto a livello internazionale come centro d’eccellenza per la riabilitazione dei bambini con disabilità complesse. Quali esperienze maturate in Italia porterete in questo contesto così fragile?
«L’esperienza maturata in tanti anni ci ha insegnato che qualsiasi intervento a sostegno delle persone con disabilità va pensato con loro e non solo “per”: devono essere riconosciute come soggetti attivi, non solo destinatari di protezione, ed è essenziale costruire risposte efficaci e inclusive soprattutto nei contesti di guerra, dove le barriere si moltiplicano».
Siete stati protagonisti al G7 sulla Disabilità, portando la voce dei più fragili davanti ai grandi della Terra. In che modo quell’esperienza ha contribuito a rafforzare la vostra capacità di dialogare con le istituzioni e costruire progetti internazionali come questo per Gaza?
«Il G7 su Disabilità e Inclusione non solo è stato il primo nella storia su questo tema, ma anche il primo aperto alle associazioni e al Terzo Settore. Abbiamo avuto la possibilità di confrontarci, di conoscerci e di instaurare relazioni: è stato un esempio virtuoso di partecipazione. La Carta di Solfagnano, che ha chiuso il G7, ha ribadito con chiarezza la responsabilità comune degli Stati nel garantire la protezione e la piena tutela delle persone con disabilità anche nei conflitti e nelle emergenze. In quel documento, sottoscritto sotto la presidenza italiana, si afferma che nessuna strategia di pace o di ricostruzione può essere giusta se lascia indietro i più fragili. Oggi, partendo da quei princìpi, l’Italia è pronta a passare dalla dichiarazione all’azione, traducendo quell’impegno politico in interventi operativi: la Carta non resta solo un simbolo, ma diventa una bussola per agire in nome dell’umanità, dell’inclusione, della pace. Prendersi cura della vita più fragile in ogni contesto è una grande prova di civiltà, nonché l’unica per testimoniare il valore della vita».