Bologna, dove l’odio si diploma con lode
30 Ottobre 2025 alle 10:58
L’assemblea del liceo Minghetti di Bologna avrebbe dovuto essere un momento di confronto sulla situazione internazionale e sul tema della pace, ma fin dall’inizio la direzione era chiara. Il programma, costruito intorno a relatori noti per la loro avversione a Israele — tra cui docenti universitari, attivisti di Assopace e politici dell’area progressista — lasciava poco spazio a un vero pluralismo di voci. L’unico intervento di segno diverso era quello del senatore di Fratelli d’Italia Marco Lisei, invitato a parlare del ruolo dell’Italia nei conflitti internazionali.
Quando è arrivato, scortato dalla Digos, l’atmosfera era già tesa. Il collettivo studentesco OSA aveva tappezzato l’aula magna con immagini di bambini palestinesi e volantini contro il governo “complice della pulizia etnica”. Durante l’intervento di Lisei, cori, slogan e accuse hanno reso impossibile qualsiasi dialogo. L’aula non è diventata un luogo di dibattito, ma un piccolo tribunale politico, dove la condanna era già scritta e la discussione superflua.
Questo non è attivismo, è un segnale di degenerazione profonda. Quando una scuola pubblica diventa spazio di propaganda, quando il dissenso viene additato come colpa morale, l’educazione smette di essere formazione e diventa indottrinamento. E non si può fingere che tutto ciò sia avvenuto per caso: da mesi Bologna coltiva un clima che legittima la faziosità e la trasforma in valore civile. Dalle piazze dove la vicesindaca Emily Clancy si dichiara “orgogliosamente non sionista”, all’assessore Ara che invita i cittadini ebrei a “dissociarsi da Israele”, fino al sindaco Lepore che più volte ha esposto la bandiera palestinese dalle finestre del Comune, il messaggio è passato: la neutralità non è più una virtù, ma un sospetto.
E ora quel messaggio è entrato anche nelle aule. Se un senatore deve parlare protetto dalla polizia e un liceo diventa un teatro di intolleranza ideologica, significa che la soglia è stata superata. La scuola, che dovrebbe insegnare a pensare, sta insegnando a schierarsi.
È lì, tra una citazione di Fanon e una bandiera palestinese, che il pensiero si spegne e torna il buio da cui, ottant’anni fa, credevamo di essere usciti.