Una sinfonia di attacchi convergenti
Chi è Mehdi Mohammadi, lo stratega iraniano che sogna un nuovo 7 ottobre: il piano con Hezbollah, Houthi, milizie irachene e cellule sciite
di Paolo Crucianelli - 5 Dicembre 2025 alle 17:54
In mezzo al frastuono delle analisi sul Medio Oriente post-guerra, una figura emerge come la più inquietante e sottovalutata minaccia alla sicurezza di Israele: Mehdi Mohammadi, consigliere strategico del presidente del Parlamento iraniano Mohammad Baqer Qalibaf, membro del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale e ideologo di riferimento dell’ala più radicale del regime.
Non è un comandante militare né un tecnico dei Pasdaran. È qualcosa di più pericoloso: uno stratega fanatico, capace di trasformare una visione ideologica totalizzante in piano operativo. Il suo nome è balzato all’attenzione internazionale dopo la pubblicazione, il 1° novembre, di un articolo che proponeva esplicitamente la preparazione di un’operazione “multi-frontale, simultanea e devastante” contro Israele. Non una metafora, non un’esagerazione retorica: Mohammadi parla apertamente di un nuovo “7 ottobre” moltiplicato su quattro o cinque fronti, una “guerra totale” in cui ogni componente dell’asse della “resistenza” – Hezbollah, Houthi, milizie irachene, cellule sciite in Siria – dovrebbe colpire Israele nello stesso momento.
Per comprendere la gravità di questa minaccia, occorre chiarire chi è davvero Mehdi Mohammadi. Ex editorialista del quotidiano conservatore Kayhan, consigliere politico del presidente dell’Iran nel 2021-2022 e oggi figura influente attorno al presidente del Parlamento, Mohammadi ha un ruolo centrale nella definizione della narrativa strategica del regime. Scrive regolarmente su sicurezza nazionale, deterrenza e “resistenza armata”, ed è considerato una delle voci più radicali del regime. Le sue posizioni e la sua influenza sono capaci di orientare il dibattito strategico della Repubblica Islamica. E proprio da questa posizione Mohammadi ha elaborato la sua teoria: il regime, sostiene, ha ormai compreso che il confronto con Israele è “totale e irreversibile”, una lotta che va oltre Gaza e va oltre la deterrenza classica. Secondo lui, il modo per colpire Israele non è più un conflitto lineare – Libano o Gaza – ma una sinfonia di attacchi convergenti, come un 7 ottobre replicato contemporaneamente dal nord, dal sud, dall’est e persino dall’interno dei territori palestinesi.
L’idea sta circolando nei palazzi di Teheran con una rapidità inquietante. La guerra dei 12 giorni ha traumatizzato il regime, danneggiato programmi missilistici e infrastrutture di intelligence, decimato i vertici, esposto vulnerabilità profonde. Per Mohammadi e per molti altri fanatici dell’élite iraniana, la conclusione è ovvia: l’Iran deve avere la sua vendetta alzando la posta, non cercando compromessi. E infatti Teheran sta ricostruendo il proprio arsenale missilistico, estendendo le gittate dei vettori, ostacolando il disarmo di Hezbollah e subendo la pressione crescente – proprio da figure come Mohammadi – per finalizzare la costruzione di un’arma nucleare. L’uomo che pubblicò sui social l’immagine di un attacco atomico contro Israele – salvo poi attribuirlo a un assistente – non è un provocatore isolato.
È un ideologo organico al potere, uno che formula dottrina strategica e che ha la capacità di influenzare tanto i Pasdaran quanto il leader supremo. Per questo, più di ogni generale sul campo, rappresenta il volto più pericoloso della minaccia iraniana. Il suo progetto di un attacco coordinato su più fronti coincide con una serie di segnali di intelligence già emersi: presenza Houthi in Siria, tentativi di Hamas e Jihad Islamica di costruire infrastrutture nel Paese, pianificazioni di infiltrazioni via Giordania, ricostruzione accelerata delle unità d’élite di Hezbollah. Tutti tasselli che, letti insieme, mostrano l’eco operativa delle sue teorie. Il punto centrale è questo: non siamo davanti a un fanatico qualunque, ma a un estremista radicale con accesso diretto ai centri decisionali. Il 7 ottobre è stato un orrore senza precedenti. Mohammadi vuole trasformarlo in un modello operativo. È questa la sua pericolosità.