Contro Netanyahu sì, contro Putin e Hamas no: una catastrofe etica
12 Ottobre 2025 alle 14:13
L’articolo di Paolo Flores d’Arcais si apre con una riflessione sulla grande manifestazione pro-Gaza del 4 ottobre a Roma, vista come un momento di speranza e passione, ma che nasconde un’amara e inestricabile catastrofe etica. L’autore mette in luce il paradossale doppio standard nell’indignazione collettiva: mentre un milione di persone manifesta giustamente contro il massacro orchestrato da Netanyahu a Gaza, lo stesso slancio emotivo e politico è quasi totalmente assente nei confronti del massacro altrettanto mostruoso perpetrato dall’esercito di Putin contro la democrazia ucraina.
La catastrofe etica: Gaza vs. Ucraina
Flores d’Arcais insiste sul fatto che, sebbene ogni orrore debba mantenere il suo peso nella coscienza, gli elementi di differenza tra i due conflitti non vanno ignorati, anzi, dovrebbero acuire lo sdegno verso l’Ucraina. Sotto il profilo dei numeri, i morti ucraini per i crimini di Putin superano quelli gazawi per i crimini di Netanyahu. Soprattutto, l’invasione dell’Ucraina è totalmente priva di qualsiasi giustificazione possibile, derivando dall’ideologia imperialista del Russkij mir, mentre l’attacco a Gaza può, almeno inizialmente, essere presentato come una risposta (sebbene sproporzionata) al pogrom di Hamas del 7 ottobre. Un’ulteriore, decisiva asimmetria è che le vittime ucraine sono rappresentate da istanze democraticamente elette, mentre a Gaza il potere è nelle mani di Hamas, definito “il male del male” a causa delle sue pratiche repressive e terroristiche.
Nonostante queste differenze che dovrebbero far raddoppiare l’impegno contro Putin, l’oppressione dell’Ucraina non suscita indignazione nel sentire comune italiano; ciò è ritenuto un “peccato mortale per un democratico”.
Il nodo irrazionale: la percezione dell’Occidente
La ragione di questa indifferenza risiede nella percezione distorta dell’Ucraina come “Occidente”, e dell’Occidente stesso come sinonimo di colonialismo e, dunque, di Male. In questo schema emotivo, Israele è visto come un’espressione dell’Occidente, e i gazawi trucidati diventano automaticamente l’emblema della critica all’Occidente. Di conseguenza, chi desidera un mondo diverso e si sente ingiustamente trattato dal sistema occidentale finisce per riconoscersi nell’oppressione di Gaza, vedendo il gazawi come “prossimo” e l’ucraino, in quanto membro percepito dell’Occidente detestato, come distante.
L’autore denuncia questa situazione come un “garbuglio di paradossi” che necessita di essere ricondotto alla ragione. È insensato essere “contro l’Occidente” perché esso non è un monolite omogeneo, bensì un universo di conflitti, complessità e sfumature (esempi sono Gramsci e Mussolini, la Comune di Parigi e Thiers).
La semplificazione e la cecità ideologica
Questa visione semplicistica, alimentata dal pensiero decoloniale, riduce l’Occidente a un mero e onnipervasivo colonialismo, cancellando la storia e le complessità del passato. Tale approccio porta alla cecità ideologica più colpevole, esemplificata dalla tendenza a negare il carattere terroristico di Hamas, definendolo una mera “forma di resistenza,” o dalla rimozione dell’orrore del 7 ottobre 2023. Flores d’Arcais avverte che questa cultura della rimozione, che trasforma la menzogna in “fatto alternativo,” dissolve la differenza tra verità e menzogna, portando alla rottura del mondo comune in “bolle” incomunicanti e potenzialmente sfociando in una latente guerra civile.
In sintesi, la speranza accesa dalla manifestazione pro-Gaza rischia di inaridirsi in una mera illusione se non si scioglie il nodo etico del doppio standard, se non si abbandona la semplificazione ideologica anti-occidentale e se non si torna alla coerenza della ragione democratica.