Boicottaggi
Criticare Israele è legittimo solo se non maschera l’odio: la retorica antiebraica che credevamo sepolta
di HaKol - 4 Giugno 2025 alle 12:30
Il mondo è squassato da due guerre: una in Europa, l’altra ai confini del Mediterraneo. Il conflitto russo-ucraino, in corso da oltre due anni, è diventato una trincea di logoramento. La diplomazia, intermittente, ha oggi il suo fragile baricentro a Istanbul. Mosca alterna minacce e aperture in una strategia di “stop and go” che mira a stremare Kiev e a mettere alla prova la tenuta dell’Unione Europea. Nessuno può dire se Vladimir Putin cerchi una via d’uscita o, al contrario, voglia prolungare il conflitto fino al collasso psicopolitico dell’Occidente.
Il trauma profondo
In Europa, le piazze restano vuote. La società civile, salvo eccezioni, è apatica. Non si manifesta per l’Ucraina, non si denuncia l’aggressione russa. In certi ambienti intellettuali e mediatici, anzi, la propaganda filoputiniana attecchisce più facilmente del dovere di solidarietà con il popolo invaso. In molti casi l’antiamericanismo è diventato la lente attraverso cui leggere anche i crimini di Mosca. Nel frattempo, il Medio Oriente è tornato nell’abisso. L’attacco del 7 ottobre 2023 ha rappresentato una frattura epocale. L’incursione di Hamas in Israele, feroce e premeditata, ha prodotto un trauma profondo. E, secondo fonti occidentali, non senza l’ombra lunga dell’Iran e la complicità silenziosa della Russia. La risposta di Israele è stata implacabile. Ma il governo Netanyahu, prigioniero di una coalizione ultranazionalista nonché fondamentalista religiosa, ha diviso anche il suo stesso popolo. La questione palestinese, lungi dal trovare sbocchi politici, è diventata di nuovo matrice di radicalizzazione e terrorismo. Il vero nodo resta la mancanza di fiducia e di volontà politica.
Occorre coerenza
Gli Accordi di Abramo si sono sgretolati. L’escalation con l’Iran e i suoi proxy – da Hezbollah agli Houthi – è più che un rischio: è una realtà in divenire. L’Occidente si ritrova così stretto tra due fuochi: sostenere l’Ucraina senza innescare una guerra globale; contenere il conflitto israelo-palestinese senza aprire una faglia regionale. In tutto questo, l’Europa è ancora spettatrice. Deve decidere: restare ai margini della storia o farsi promotrice di una nuova architettura della sicurezza e della pace. Ma occorre coerenza. Difendere Israele non significa tacere sulle sue responsabilità di Netanyahu. Per il suo caso giudiziario, da cui avrebbe voluto uscirsene, scavalcando il potere giudiziario, ha diviso profondamente il popolo israeliano. E, come ha detto Sergio Mattarella, “è disumano ridurre una intera popolazione alla fame”, così come i palestinesi hanno diritto a un proprio e certo territorio: “Due popoli due Stati”.
Criticare Israele è legittimo solo se non maschera l’odio
E poi, come è stato possibile che Hamas scavasse 736 km di tunnel sotto Gaza senza una reazione adeguata da parte dell’intelligence israeliana? E come può Tel Aviv perseguire una guerra totale senza alienarsi l’opinione pubblica internazionale? Infine, non è riuscito a liberare gli ostaggi vivi e morti. Ma criticare Israele è legittimo solo se non maschera l’odio. In Europa, e anche in Italia, sta tornando una retorica antiebraica che credevamo sepolta. Non si contesta più una politica, ma si colpisce uno Stato per la sua identità. Alcune istituzioni locali: dalla Regione Puglia al Comune di Bari, fino all’Emilia-Romagna e all’amministrazione comunale di Bologna, hanno chiesto la rottura delle relazioni diplomatiche e dei rapporti commerciali con Israele, come se si potesse separare la sua esistenza da quella del suo governo. È un passo pericoloso. Alimenta razzismo e antisemitismo, confonde l’impegno civile con la propaganda ideologica.
In nome della pace si giustifica il terrorismo, e in nome dei diritti si nega il diritto di Israele a esistere. Così l’intellettualismo si fa complice e la politica diventa vile. Altro che coscienza civile: è un ritorno alla barbarie travestita da buonismo. A peggiorare il quadro, la schizofrenia politica. Il Partito Democratico ha convocato per il 7 giugno una manifestazione “In piazza per Gaza”, con il sostegno di M5S e AVS. Il giorno prima, Azione e Italia Viva daranno vita, in un teatro, a un evento per sostenere per Israele “Due popoli, due Stati”. Il dato curioso sono i cosiddetti riformisti Dem che partecipano in entrambe le manifestazioni, dimostrando la loro ambiguità sul conflitto e su Hamas. Ma Elly Schlein, pur contraria all’invasione russa, non ha mai promosso una mobilitazione concreta per l’Ucraina, né ha espresso una condanna forte e pubblica contro Hamas e pro Israele. L’Europa è sola. Ma non può essere cieca. Perché non scegliere è già una scelta.