Dalla Polonia a Baghdad: l’esilio ebraico e la ricerca di un rifugio in un dopoguerra senza pace

di Redazione - 3 Dicembre 2025 alle 16:07

Joseph Feingold aveva 23 anni quando rientrò in Polonia. Non ci tornava da figlio, ma da sopravvissuto. Joseph era nato a Varsavia e cresciuto a Kielce, in una famiglia di tre fratelli. Allo scoppio della guerra fuggì con il padre verso Est, nella zona controllata dai sovietici. Ma in territorio sovietico: vennero entrambi arrestati e spediti nei campi di lavoro siberiani. La madre e il fratellino Henryk, rimasti in Polonia, furono deportati e trucidati a Treblinka. Alex, il fratello maggiore, riuscì a sopravvivere prima ad Auschwitz e poi a Bergen-Belsen.

Quando Joseph uscì dal campo siberiano, 6 anni dopo, non aveva più nulla. In un campo profughi vicino a Francoforte, scambiò qualche sigaretta per un violino. Era un gesto minimo, quasi assurdo, ma fu l’unica cosa che era in grado di ricordargli un frammento del mondo di prima: la musica che suonava mentre sua madre cantava.

Il 4 luglio 1946 decise di tornare a Kielce. Voleva sapere se qualcuno della famiglia fosse sopravvissuto. Non poteva immaginare che proprio quel giorno la violenza in città sarebbe esplosa. Si trovava dentro all’edificio del Comitato Ebraico, circondato da una grande folla inferocita, decisa a massacrare gli ebrei. Le porte dell’edificio vennero sfondate e Joseph, insieme agli altri, fu trascinato fuori, picchiato, massacrato di botte fino a perdere conoscenza. Si risvegliò ore più tardi, in un letto d’ospedale. Da quel momento, non ebbe dubbi: la Polonia non era più la sua casa. Non lo era più per nessun ebreo. Lasciò così il Paese e iniziò il viaggio che lo avrebbe portato verso la Palestina.

Aharon Nathan aveva 10 anni quando il mondo che conosceva andò in frantumi. Nato e cresciuto a Baghdad, in Iraq, nel 1931, in una comunità ebraica irachena che viveva lì da millenni. Frequentava la scuola Shamash, studiava arabo, inglese ed ebraico. A casa, come in molte famiglie ebraiche irachene, si respirava un’identità complessa, ricca di tradizioni e memorie, ma ben radicata nel presente.

Poi arrivò il Farhud. Farhud in arabo significa saccheggio. E il Farhud di Baghdad è rimasto nella storia del Paese come il più pogrom più sanguinoso. Ma non l’unico. Nel 1941, il Primo Ministro Rashid Ali al-Gaylani, dopo essersi alleato con Hitler diede inizio alla persecuzione degli ebrei iracheni. Nel maggio del 1941, sterminò gli ebrei di Al Diwaniya, un piccolo paesino sull’Eufrate. Poi, immediatamente dopo, ci fu il Farhud di Baghdad che si consumò l’1 e il 2 giugno 1941.

Nei ricordi di Aharon ci sono porte sbarrate, la famiglia chiusa in casa, il rumore dei passi sulle scale, le urla nelle strade dei quartieri ebraici. Due giorni di violenze, saccheggi, stupri e omicidi. Due giorni che cambiarono tutto, anche la sensazione di appartenere profondamente a quella città. Dopo il Farhud, niente tornò come prima. Gli ebrei superstiti erano annichiliti e in preda al terrore. L’atmosfera diventò più cupa, più instabile. Le misure discriminatorie contro gli ebrei aumentarono. Molte famiglie iniziarono a preparare la fuga. Aharon aspettò anni, fino a quando non compì 18 anni.

Nel 1949 lasciò l’Iraq per sempre, attraversando clandestinamente il confine con l’Iran. Da lì raggiunse Israele. Aveva capito molto presto e molto dolorosamente che il Paese in cui era nato non avrebbe mai più potuto offrirgli un futuro.

di Free4Future

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