Dalla Striscia di Gaza alla Louisiana: il buco nero dei controlli che ha portato un terrorista di Hamas negli Stati Uniti
di Paolo Crucianelli - 24 Ottobre 2025 alle 10:30
La vicenda di Mahmoud Amin Yaqub al-Muhtadi, un uomo accusato di aver partecipato al massacro del 7 ottobre e arrestato in Louisiana con un visto falso, rivela quanto fragile sia la rete di sicurezza internazionale di fronte al nuovo terrorismo diffuso.
Secondo l’atto d’accusa federale, l’uomo — 33 anni, originario di Gaza — era parte di una cellula armata affiliata ad Hamas e al Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina. La domanda che sorge spontanea è: come ha fatto un terrorista che ha partecipato al 7 ottobre a uscire da Gaza e arrivare in America? Dopo l’attacco, avrebbe lasciato la Striscia, nel marzo 2024, passando per il valico egiziano di Rafah, all’epoca ancora parzialmente aperto, per fare uscire persone ferite, stranieri e personale delle ONG. È risaputo che il valico di Rafah è l’anello debole della catena di sicurezza che circonda Gaza. Ed è altrettanto noto che i controlli egiziani sono permeabili alla corruzione. Fonti attendibili sostengono che con 2/3.000 dollari si riesce ad uscire (o a far entrare qualcuno o qualcosa).
Pochi mesi dopo, con un passaporto egiziano frutto di altra corruzione, chiedeva ed otteneva un visto all’ambasciata americana del Cairo. Il 12 settembre entrava regolarmente negli Stati Uniti tramite l’aeroporto di Dallas–Fort Worth. Nessun allarme, nessun sospetto. È servita l’intelligence israeliana, mesi dopo, a fornire all’FBI le prove del suo passato: intercettazioni, fotografie, geolocalizzazioni telefoniche che collocavano, la mattina del 7 ottobre, il suo telefono prima a Gaza, poi in territorio israeliano, vicino al kibbutz Kfar Aza, ed infine di nuovo a Gaza. Solo allora gli agenti federali sono intervenuti, scoprendo che al-Muhtadi, dopo aver soggiornato per un periodo a Tulsa, in Oklahoma, si è poi spostato vicino a Lafayette, in Louisiana, dove viveva tranquillamente e lavorava in un ristorante.
Il caso ha scatenato un acceso dibattito a Washington. Come ha potuto un uomo proveniente da Gaza, con legami sospetti, attraversare due continenti e ottenere un visto senza che nessuno si accorgesse di nulla? Le falle appaiono evidenti: controlli biometrici incompleti, scarsa condivisione dei dati tra Israele e Stati Uniti, e procedure consolari che si basano ancora su autodichiarazioni difficili da verificare. In pratica, un sistema costruito per tempi di pace, non per un mondo dove i terroristi si muovono come semplici migranti.
La vicenda di al-Muhtadi dimostra che il terrorismo non ha bisogno di grandi operazioni per infiltrarsi: basta un visto rilasciato con leggerezza. E che la vera frontiera della sicurezza oggi non è fatta di muri o di armi, ma di dati, interoperabilità e volontà politica. Gli americani hanno scoperto troppo tardi che uno degli uomini del 7 ottobre viveva tra loro, in silenzio, con una falsa nazionalità. Ma la domanda più inquietante resta: quanti altri, come lui, sono già dentro e nessuno lo sa? E in Europa? Se è stato possibile per al-Muhtadi arrivare indisturbato negli Stati Uniti, probabilmente molti suoi “colleghi” possono essere già tra noi.