Le Ragioni di Israele
Dentro la comunità cristiana francese che diede asilo agli ebrei perseguitati
di HaKol - 16 Ottobre 2025 alle 14:10
Il 16 agosto del 2005 frère Roger Schutz, fondatore e priore della Comunità di Taizé, fu accoltellato da una squilibrata durante la preghiera della sera. L’ultimo atto della sua vita si è compiuto fra i suoi confratelli e migliaia di giovani che stavano passando la settimana su questa collina della Borgogna in preghiera, silenzio e condivisione. Frère Roger aveva 90 anni. Nel 1940, dalla svizzera si era trasferito a Taizé, a trenta chilometri da Cluny, ancora oggi un paesino di poche case. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale iniziò un percorso di accoglienza e riconciliazione fra le confessioni cristiane, di cui non avrebbe potuto prevedere gli sviluppi.
In questo luogo non lontano dal confine dell’occupazione nazista in Francia diede asilo a ebrei a perseguitati politici, dovendo allontanarsi quando la Gestapo si insospettì. Tornò nel 1944 dando vita alla Comunità che oggi conta circa 80 confratelli cattolici, anglicani e protestanti e ogni anno accoglie intorno ai centomila giovani fra i 18 e i 30 anni. A frère Roger è succeduto come priore frère Alois, cattolico tedesco. Dal dicembre 2023 il ruolo è passato a frère Matthew, anglicano inglese, che abbiamo incontrato a Taizé nei giorni scorsi. L’esperienza di un monastero che attira così tanti ragazzi assume connotati rivoluzionari. Frère Matthew, oggi sessantenne, nel 1986 ha sperimentato in prima persona questo impatto lasciando gli studi di medicina per unirsi alla Comunità, in cui è entrato definitivamente nel 1989.
Questa scelta radicale è avvenuta in modo spontaneo: “Sono cresciuto in una famiglia anglicana. Nella nostra parrocchia non c’erano molti giovani ma quando iniziai l’università a Sheffield ho incontrato cristiani della mia età. Con loro decisi di fare un viaggio e siamo venuti a Taizé perché era l’opzione più economica. Questa esperienza mi segnò molto perché mi sentii immediatamente incluso. Non mi veniva detto cosa fare ma ho sentito che mi veniva data fiducia perché la comunità non viveva per i giovani ma assieme a loro. Ritornai e mi sentii chiamato a rimanere. Qualcos’altro avvenne in quel periodo: per un periodo si persero le tracce di frère Roger. Sapemmo poi che era andato a Berlino Est per essere vicino ai cristiani di quel luogo, in segreto per non metterli in pericolo. Per me fu molto importante vedere che si assumevano rischi di questo genere”.
Quanto manca oggi frère Roger? “È una domanda interessante. La sua morte fu uno shock, anche se ci aveva già detto che nei mesi successivi frère Alois avrebbe preso il suo posto come priore. Nel 2015 abbiamo celebrato il centenario dalla sua nascita ed è stata l’occasione per guardare in modo più oggettivo al primo periodo della vita della Comunità, passato insieme a frère Roger, che una ventina dei fratelli attuali non hanno mai incontrato. Il 4 luglio ho incontrato Papa Leone, che ci ha invitato a fare ciò che possiamo per mantenere il carisma della fondazione ma ascoltare lo Spirito per essere aperti al nostro tempo”.
Taizé propone a ognuno di vivere un ‘pellegrinaggio di fiducia sulla terra’. Può essere la risposta alla voglia di conflitto espressa anche da molti giovani? “Noi non cerchiamo di influenzare il prossimo, continuiamo ad ascoltare piuttosto che promuovere i nostri punti di vista. È molto difficile ma rimane importante. Frère Roger ci chiedeva di non attirare attenzione verso noi stessi ma di guardare al Cristo. Non siamo una fazione cristiana né pretendiamo di essere una grande comunità. Non invitiamo personaggi famosi. Piuttosto, continuiamo a offrire a tutti un luogo per la preghiera e la riflessione. Sono esperienze che a volte maturano anni dopo”.
Dopo un viaggio in Ucraina, frère Matthew ha scritto la lettera ai giovani che viene distribuita e commentata dagli ospiti di Taizé nel corso di quest’anno. Il suo titolo e l’invito finale sono, aggiornando il detto latino, di ‘sperare oltre ogni speranza’, non ‘contro’. Sembra un invito ambizioso. È realistico? “Anche la nostra Comunità ha avuto dei momenti di crisi. Ci hanno ricordato che non possiamo affidarci solo alle nostre forze ma dobbiamo vivere ancorati a Cristo e al Vangelo, che ci dice che la morte e la sofferenza non avranno mai l’ultima parola. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Unione Europea ha portato insieme popoli che fino a pochi anni prima erano stati nemici. Guardando alle tragedie del passato, più volte grandi speranze si sono concretizzate”.