Dopo Venezia, anche gli Emmy’s si avvolgono nella bandiera palestinese
di Paolo Crucianelli - 19 Settembre 2025 alle 13:18
Dopo il Festival del Cinema di Venezia, un’altra grande manifestazione culturale internazionale è stata contaminata dal virus pro-pal. Questa volta è toccato agli Emmy Awards, gli “Oscar della televisione”, trasformati per l’occasione in un palcoscenico di propaganda politica a senso unico.
Molti attori e lavoratori dello spettacolo hanno sfruttato i riflettori per rilanciare accuse contro Israele, ripetendo i soliti slogan: genocidio, apartheid, pulizia etnica, deportazioni. Parole forti, che colpiscono l’opinione pubblica ma che nulla hanno a che fare con una corretta lettura giuridica dei fatti.
Tra i protagonisti più rumorosi c’è stato Javier Bardem, che si è presentato sul red carpet ostentando una kefiah. Davanti alle telecamere ha denunciato il presunto “genocidio a Gaza” e ha promesso di non lavorare più con chi sostiene o giustifica Israele. Nel suo discorso, Bardem ha citato le “conclusioni” dell’IAGS (International Association of Genocide Scholars) come se fossero un certificato ufficiale. Peccato che quella sigla non sia un organismo delle Nazioni Unite o una corte internazionale, ma una semplice associazione privata, a cui chiunque può iscriversi pagando una quota di 30 dollari, e che nulla ha a che vedere con la competenza giudiziaria sul genocidio. Essendo questa cosa ormai largamente di dominio pubblico, fingere di ignorarla è un esecrabile indice di malafede, non di ingenuità.
Ma Bardem non è stato il solo. Hannah Einbinder, vincitrice come miglior attrice non protagonista in una serie comica, ha concluso il suo discorso con un “Free Palestine”. Altri, come Megan Stalter, hanno sfoggiato accessori con scritte come “Ceasefire!”, trasformando il red carpet in una passerella militante.
Nel corso della serata è circolato anche un documento firmato da migliaia di professionisti del settore – registi, attori, operatori, tecnici – che si impegnano a boicottare le istituzioni cinematografiche israeliane, accusate, tanto per cambiare, di complicità in genocidio e violazioni dei diritti umani.
Il risultato è chiaro: invece di celebrare la creatività e l’arte televisiva, gli Emmy’s sono diventati un altro megafono della propaganda pro-palestinese. Dopo Venezia, anche Hollywood sembra piegarsi a una narrazione che ignora il diritto internazionale e riduce una guerra complessa a un teatrino di slogan emotivi, tanto fragorosi quanto inconsistenti. Infine, occorre dire che queste persone sembrano non capire, o non curarsi, che i loro atteggiamenti finiscono per rafforzare Hamas.