Esecuzioni extra-giudiziali a Gaza e sostegno dagli attivisti anti-Israele
16 Ottobre 2025 alle 11:52
L’articolo del Jerusalem Post tratta un tema delicato e controverso: le esecuzioni extra-giudiziali di presunti dissidenti a Gaza da parte di Hamas, avvenute subito dopo un cessate il fuoco con Israele, e il sorprendente sostegno ricevuto da queste azioni da parte di numerosi attivisti anti-Israele in Occidente.
Repressione di Hamas e scontri interni
A seguito del cessate il fuoco e del ritiro parziale delle truppe israeliane, Hamas ha rapidamente mosso le sue forze per eliminare l’opposizione interna. Sono scoppiati violenti scontri con miliziani di clan rivali, in particolare il clan Doghmush, un gruppo con cui Hamas aveva già avuto frizioni in passato. Per giustificare le esecuzioni, anche pubbliche, in cui si vedono uomini legati e inginocchiati fucilati, Hamas ha etichettato i suoi oppositori come “collaboratori” di Israele.
Un giornalista di Gaza, Motasem A. Dalloul, pur riconoscendo l’accusa di collaborazionismo mossa da Hamas, ha lanciato pesanti critiche contro l’organizzazione stessa, denunciando una vasta gamma di attività criminali interne, tra cui il furto e la monopolizzazione degli aiuti umanitari, l’aggressione a chi cerca assistenza e il ricatto.
L’approvazione degli attivisti anti-Israele
La condanna internazionale per queste esecuzioni è stata minima tra i circoli anti-Israele. Al contrario, figure di spicco in Occidente hanno manifestato apertamente il loro sostegno. Un medico del servizio sanitario britannico, Rahmeh Aladwan, ha invocato la “giustizia” per “ogni singolo” collaboratore. Anche personaggi come l’ex lottatore di MMA Jake Shields hanno approvato le uccisioni, affermando che la pena di morte per tradimento è una conseguenza naturale. A ciò si aggiunge il sostegno esplicito di organizzazioni sanzionate come la Samidoun Palestinian Prisoner Solidarity Network.
A giustificazione delle esecuzioni, molti attivisti ricorrono a parallelismi storici, paragonando i giustiziati a Gaza ai collaboratori dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Commentatori come Scott Ritter e l’attivista Greta Berlin hanno richiamato gli omicidi di collaboratori in Francia e Olanda, sostenendo che si tratta di una “legge universalmente compresa” in condizioni estreme di occupazione. Altri hanno persino paragonato le azioni di Hamas agli omicidi di informatori compiuti dai combattenti ebrei durante l’insurrezione del Ghetto di Varsavia, sostenendo che il “tradimento di fronte al genocidio” merita un proiettile alla testa.
Il “Martirio” di Saleh Al-Jafarawi
Un elemento centrale di questa narrazione è la figura di Saleh Al-Jafarawi, noto sui social media come “Mr. FAFO”, un influencer pro-Hamas che spesso inscenava la propria morte o ferimento in video di propaganda. Jafarawi è stato effettivamente ucciso durante uno scontro con un membro del clan Doghmush.
Gli attivisti hanno immediatamente tessuto una teoria secondo cui Jafarawi sarebbe stato “assassinato” da “gang sostenute da Israele”, trasformando la sua morte in una prova che i collaboratori agiscono su mandato israeliano per “estinguere le ultime bracce di verità” a Gaza. Questa teoria è stata ampiamente promossa da gruppi come il Palestinian Youth Movement e il National Students for Justice in Palestine (NSJP), che hanno incitato alla “morte di tutti i collaboratori”, esortando a combattere il sionismo in ogni sua manifestazione.
Chiunque devii da questa narrativa, come il fotoreporter Motaz Azaiza, che aveva descritto gli scontri come una “guerra civile”, viene prontamente etichettato come “traditore” e “agente di divisione”. L’articolo conclude che, in assenza di una decisa opposizione da parte dei sostenitori pro-palestinesi, Hamas ha ricevuto una forma di legittimità globale che le consente di proseguire indisturbata con le sue esecuzioni sommarie.